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Colpa dell'euro? Tutte le moto che non possiamo più comprare (perché defunte)

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Siamo tutti più poveri per colpa dell’euro? Poveri di moto, perché non parliamo qui della moneta ma della serie di normative anti-emissioni che hanno spazzato via dal mercato motori e modelli a volte mitici. Ecco quali

Euro sì, euro no. Hanno fatto bene gli inglesi a uscire, hanno fatto male gli italiani a restare e in generale si stava meglio quando si stava peggio, ovvero ai tempi della lira? Non vogliamo oggi parlare di debito, interessi e potere d’acquisto: vogliamo parlare di un altro figlio dell’Europa unita, ovvero le normative anti-emissioni che abbiamo chiamato anch’esse Euro e delle quali siamo arrivati, come sapete alla Euro5+ in campo moto, Euro7 in campo auto. Colpa dell’euro, allora, se le moto sono diventate più costose, più noiose, addirittura più defunte? Possiamo rispondere anche subito: sì, colpa dell’Euro. Ma le normative anti-emissioni non sono una rosa fiorita nel deserto: fanno parte di quelli che a volte si chiamano “macro-trend”, ovvero quelle tendenze generali del mondo che valgono a tutte le latitudini: miglioramento dell’igiene, del supporto medico, dell’istruzione. La cosa diventa evidente quando ci si guarda indietro: possiamo pensare di vivere in un mondo senza disinfettanti, senza ospedali, senza strade asfaltate e con l’obbligo scolastico fermo alla quinta elementare? Allo stesso modo, provate a mettervi alle calcagna di una Vespa o di una 125 sportiva degli anni che furono, come pure di una maxi 4T a carburatori, e respirate a pieni polmoni. Una Euro 5 ha facilmente emissioni 100 volte più basse: significa che ci vogliono 100 BMW R 1300 GS per emettere gli stessi inquinanti di una pur fascinosa R 100 GS, e lo stesso vale per auto, camion, autobus.

La lotta ai gas tossici

Le normative Euro si occupano infatti dei cosiddetti “inquinanti primari”, velenosi o tossici per la salute: gli incombusti, il monossido di carbonio, gli ossidi di azoto, il particolato. Sono gli inquinanti che irritano quando li respiri a differenza della CO2, il più diffuso tra i gas a effetto serra, ma che è legato a un percorso tecnologico molto diverso visto che dipende fondamentalmente solo dal consumo di benzina. Le normative sulle emissioni sono nate in California negli Anni 60, inizialmente per contrastare gli effetti sempre più evidenti del pesante traffico di Los Angeles. Si sono consolidate e diffuse nel decennio successivo, diventando globali a partire dalla fine degli Anni 80. In Europa, all’epoca ancora non unita dal punto di vista normativo, si sono diffuse a macchia di leopardo fino all’arrivo della prima Euro1, che ha debuttato per le auto nel 1992 e per le moto nel 1999. La normativa Euro 1 per motocicli è stata applicata alle moto immatricolate dal 17 giugno 1999 in poi, come previsto dalla direttiva 97/24/CE.

Catalizzatori, scarichi enormi e morte dei 2T stradali

Nei primi anni dell’Euro, gli effetti sulle moto sono stati soprattutto l’arrivo dei catalizzatori e scarichi sempre più voluminosi. Le richieste di legge si sono inasprite nel tempo, riducendo le soglie accettabili e allargando le condizioni di misura: un grande scoglio per i motoristi lo hanno rappresentato le emissioni a motore freddo, che una volta entrate nel programma di misura hanno portato i catalizzatori a risalire, almeno in parte, il condotto di scarico alla ricerca di più calore per attivarsi più rapidamente. Nel corso del tempo, i progettisti si sono scoperti sempre più vincolati dal rispetto delle normative. Sono cambiate le fasature, sempre meno aggressive, la quantità di benzina iniettata si è ridotta sacrificando la potenza a vantaggio di combustioni sempre più “magre” e pulite, ma alla fine gli ingegneri hanno quasi sempre trovato la quadra: le prestazioni hanno continuato ad aumentare, o comunque non sono diminuite, i consumi sono scesi e la trattabilità dei motori è migliorata. Oggi puoi prendere un mono o un bicilindrico, salire a 2.000 metri di quota, scendere a 2.000 giri di regime, spalancare e sentirlo riprendere quasi senza sussulti. Provate a farlo con un vecchio motore a carburatori: persino i 4 in linea giapponesi dalla proverbiale trattabilità si trovano a mal partito. E nel frattempo il 2T è diventato praticamente inomologabile; del resto Honda già nel 2006 ha annunciato l’abbandono definitivo di questo motore, persino in campo off-road dove non è generalmente richiesta omologazione.

La grande marcia per ridurre le emissioni: morti e feriti

Già: il 2T è stato la prima vittima chiara delle normative. Strette a tenaglia dal limite di potenza di 15 CV imposto ai 125 – non a caso, la potenza massima che si può ottenere con un 125 4T di produzione – e dagli effetti delle prime Euro1 ed Euro2, sono scomparse anche le popolarisisme 125 2T che toglievano il sonno ai sedicenni, e che in molti casi continuano a circolare di terza, quarta e quinta mano regalando soddisfazioni ormai d’epoca ai loro giovani proprietari. Sono moto, come del resto le 4T loro coeve, anche giapponesi, in cui il collettore di scarico è un semplice tubo in acciaio. Oggi il collettore è diventato un sofisticato impianto elettrochimico e i costi associati ai catalizzatori, ai sensori, agli studi richiesti per rientrare nei limiti di omologazione si sono inevitabilmente ribaltati sui motociclisti, sotto forma di moto sempre più costose o di risparmi in altre componenti dei veicoli. Anche per chi progetta e costruisce, la coperta è sempre corta. I costi sono anche il motivo per cui la “lunga marcia” dalla Euro0 alla Euro5+ ha lasciato sulla strada molti morti. A ogni passaggio alcuni modelli, anche iconici, non sono stati rinnovati – di solito perché già in sofferenza nelle vendite. Con la Euro4 KTM ha abbandonato le sue 125 2T da Enduro spezzando definitivamente il cuore dei sedicenni, e Yamaha ha rinunciato a omologare la R6 conservandola come track bike; con la Euro5+ scompariranno il motore Ducati 937 Desmo, sostituito ovunque dal nuovo 890 a molle, e la Yamaha R1: non vedremo mai la MY25 con le winglets e i freni Brembo Stylema, che sopravvive in mercati meno “severi” del nostro. 

Colpa dell’Euro o segno dei tempi?

Ma come dicevamo, è sempre questione di costi rapportati ai volumi di vendita, perché niente è veramente impossibile: i motori ad aria erano stati dati per morti già con la Euro4, eppure continuiamo a vederli non solo nelle piccole cilindrate (Royal Enfield e tanti altri), ma anche nelle medie e alte (BMW, Ducati, Moto Guzzi, Harley-Davidson). Lo stesso può dirsi del carburatore, scomparso più per motivi di obsolescenza (oggi l’iniezione elettronica è, considerando il veicolo nel suo insieme, probabilmente meno costosa) che non per vincoli normativi. Il problema è sempre quello dei costi da sostenere e dei numeri di vendita che devono giustificarli; e anzi l’arrivo di nuovi limiti è a volte una buona scusa per le Case per fare operazioni di pulizia altrimenti scomode. Certo, non quanto nelle auto dove il succedersi delle normative è stato anche una scusa per spingere le vendite del nuovo accorciando il ciclo di vita del parco circolante. Nelle moto diremmo che questo non è successo: per i costruttori del nostro mondo, in larga maggioranza più piccoli, meno strutturati sul piano tecnico e molto meno influenti su quello politico, ogni passaggio è stato soprattutto un grattacapo tra motori da modificare e stock di invenduto di cui liberarsi: basta vedere cosa è successo a cavallo tra il 2024 e il 2025 con la Euro5+. L’Europa ha tanti difetti, ma è campione del mondo in fatto di normative. E se in buona parte questo si traduce in vincoli e burocrazia anche eccessivi, bisogna riconoscere che in qualche caso la cosa ha funzionato bene. Un esempio è la normativa sui caschi ECE 22.05-06, unanimemente riconosciuta la più completa al mondo e che è stata adottata da molti Paesi in sostituzione della propria. Ma anche le Euro-n hanno riscosso consenso internazionale: sono state copiate pari pari o quanto meno assimilate in tutto il Sudamerica e in Russia, Turchia, Messico, Australia, Vietnam, Indonesia, Tailandia, Cambogia e persino Cina.

E quindi?

Hanno fatto bene gli inglesi a uscire, hanno fatto male gli italiani a restare e in generale si stava meglio quando potevamo comprare la Suzuki RG500 Gamma e la Yamaha R1? Certo, qualche perdita c’è stata, è innegabile. Ma è altrettanto innegabile che normative ben fatte abbiano spinto i tecnici a realizzare, pur se con grandi sforzi, proposte che sono globalmente migliori delle loro antenate: non solo più pulite, ma anche più godibili, più sicure, più frugali in fatto di consumi e bisogno di manutenzione. Si può discutere se le attuali normative siano “troppo”, ma è indubbio che le nostre strade sono oggi più silenziose e la nostra aria è più pulita, senza che abbiamo smesso di divertirci in moto. E per gli inguaribili nostalgici... ci si può sempre rivolgere al mercato dell'usato.
Suzuki RGV 250 Gamma, scomparsa con la Euro1
Malaguti Crosser, scomparso con la Euro1
Aprilia RS 250, scomparsa con la Euro2
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Yamaha XJR 1300, scomparsa con la Euro4
Yamaha SR 400, scomparsa con la Euro4
Suzuki GSX-R 600, scomparsa con la Euro4
Suzuki GSX-R 750, scomparsa con la Euro4
Suzuki Hayabusa, scomparsa con la Euro4
Honda VFR800, scomparsa con la Euro5
Honda VFR800X Crossrunner, scomparsa con la Euro5
Kawasaki ZZ-R 1400, scomparsa con la Euro5
Yamaha YZF-R6, scomparsa con la Euro5
Harley-Davidson Sportster 883, scomparsa con la Euro5
Harley-Davidson Sportster 1200, scomparsa con la Euro5
Yamaha YZF-R1, scomparsa con la Euro5+

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