Fondata nel 1921, per anni l'azienda più avanzata al mondo, Moto Guzzi ha una storia emblematicamente italiana: genialità ed errori, nobiltà e miseria, alti e bassi sfociati in un presente solido, ma....
Parliamo della storia di Moto Guzzi. E ve ne voglio parlare per molte buone ragioni. La prima è che è un marchio al 100% italiano, in ottima salute e che si avvicina al traguardo dei 105 anni di storia con una gamma solida e una sede mai cambiata e finalmente in fase di profondo rinnovamento. Ma la seconda è che è una storia che mi sembra di grande attualità, e per chi ha la pazienza di arrivare fino alla fine, vi dirò perché.
Come per tante aziende del nostro mondo, anche Moto Guzzi è figlia della passione di un uomo, anzi due: Carlo Guzzi, la mente tecnica, e Giorgio Parodi, il finanziatore. Carlo, nato nel 1889, è figlio di un ingegnere milanese – anzi professore al Politecnico (allora Istituto Tecnico Superiore) di Milano e imprenditore nel ramo dei motori elettrici, di cui Milano è all’epoca un polo all’avanguardia.
Sanguigno, poco studioso ma con “l’intelligenza nelle mani” come si suol dire, Carlo è un tipetto riottoso e il padre lo manda a studiare in un severo collegio a Vicenza. Carlo comunque fatica, e si ritira dopo il secondo anno, quando il padre muore e la famiglia si deve trasferire sul lago di Como, a – ma lo sapete tutti – Mandello Tonzanico, oggi Mandello del Lario. Qui Carlo, vacante il padre, diventa “l’uomo di casa” e si risolve a fare l’apprendista in aziende metalmeccaniche della zona, fiorenti in quel territorio grazie all’abbondanza di corsi d’acqua che rendevano possibile avere energia idroelettrica. Si appassiona alla meccanica e alle moto, fonda col fratello Giuseppe la “Fratelli Guzzi Motori” che realizza motori per barche e collabora col reparto prove della allora prestigiosissima casa automobilistica Isotta Fraschini.
Carlo Guzzi e l’incontro con Parodi e Ravelli
Arruolato nella Regia Marina allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Carlo conosce i piloti di idrovolanti Giorgio Parodi e Giovanni Ravelli, cui propone di costruire una motocicletta innovativa, non appena terminato il conflitto. Ravelli muore però in un incidente aereo, e alla sua memoria è legata l’aquila con le ali spiegate che troviamo nel logo Moto Guzzi. Resta Parodi, rampollo di una facoltosa famiglia di armatori genovesi, che può fornire i capitali necessari alla nuova impresa.
La famiglia Parodi è nota non solo a Genova. Il capostipite è Angelo Parodi, fondatore dell’azienda di conservazione del tonno “Angelo Parodi fu Bartolomeo”. Giorgio Parodi era nipote di Angelo Parodi e figlio di Emanuele Vittorio, che finanziò l’attività del figlio non soltanto per ragioni affettive, ma anche perché vedeva nella costruzione di motori e motociclette un promettente business e una tecnologia innovativa per l’epoca, di grande futuro. Ragionava insomma da imprenditore illuminato, come pure il figlio Emanuele Vittorio che nel suo testamento ai figli, tra i quali Giorgio, scrisse: “Preoccupatevi degli interessi del nostro Paese più che del vostro. Non circondatevi di troppi agi; non sottraetevi al servizio militare, né al pagamento delle tasse. Siate indulgenti con gli altri e severi con voi stessi.” Gli interessi del nostro Paese. Ci torneremo.
La fondazione avviene il 15 marzo 1921, con sede legale a Genova e stabilimento a Mandello. Oggi sarebbe una scelta discutibile, per la non facile logistica del paesino sulle rive del lago; ma allora è perfettamente razionale: come dicevamo, l'energia dell'Italia di quegli anni è soprattutto idroelettrica, quindi soprattutto ai piedi dell'arco alpino. E così si parte a Mandello, con l'aiuto di Giuseppe Guzzi, il fratello studioso di Carlo diventato ingegnere. La prima moto, siglata G.P. dalle iniziali dei soci, adotta numerose soluzioni aeronautiche – l’ingegneria aeronautica è da sempre un serbatoio di avanguardia tecnica – ma a causa degli alti costi produttivi non viene mai realizzata. Ne viene invece venduta una versione semplificata, siglata “Normale”.
Moto e motori: l'Italia si fa largo
Siamo all’inizio degli Anni 20, la tecnologia dei motori e dei veicoli a motore è in pieno fermento, portata avanti un po’ in tutti i Paesi avanzati: Germania, Francia, Inghilterra, Stati Uniti e anche Italia, un Paese di sviluppo recente ma che si sta scoprendo una spiccata vocazione in questo ambito. Tenete bene a mente questo punto: la tecnologia dei motori è giovane, aperta alle innovazioni e centrale nello sviluppo economico, visto che la mobilità – pur se non ancora “popolare” – è un settore industriale capace di dare una forte spinta a tutti gli altri. Non per nulla il regime fascista la sostiene apertamente, per ragioni strategiche prima ancora che di prestigio: essere all’avanguardia nel campo dei motori rappresenta un chiaro vantaggio economico e militare, prima ancora che sociale.
Tra i primi Anni 20 e la fine degli Anni 30 del 900 – esattamente un secolo fa – l’eccellenza tecnica e motoristica mondiale è tutta in Italia, anzi racchiusa nell’arco di pochi chilometri tra Milano, dove ha sede l’Alfa Romeo, e Mandello dove ha sede Moto Guzzi. I tecnici italiani sviluppano numerose soluzioni innovative, in particolare nell’ambito dei motori da corsa, che vengono poi trasferite nella produzione di serie: su tutte la distribuzione bialbero con doppia accensione, il compressore volumetrico e il telaio a longheroni per le Alfa; il telaio elastico, il carter secco e i motori plurifrazionati per Moto Guzzi. E se Henry Ford dovette ammettere che “quando passa un’Alfa Romeo, mi tolgo il cappello”, il prestigio di Moto Guzzi nel mondo moto è forse ancora maggiore. A Mandello non sembra esserci nulla di impossibile: nel corso degli anni vengono costruiti non solo motori di ogni tipologia e frazionamento ma anche la prima galleria del vento dedicata alle moto (1950) e linee di produzione modernissime.
Dopo la pausa della Guerra, dove comunque Moto Guzzi si distingue con le forniture militari (Alce, Trialce, Airone), la società diventa Moto Guzzi S.p.A. e realizza il suo primo motore 2T, un 65 cc progettato da Antonio Micucci. Sarà montato sulla motoleggera Guzzino – un successo immediato negli anni del boom – e poi al Cardellino che salirà a 73 e poi 83 cm³. È un veicolo importante, perché segna la transizione di Moto Guzzi dalle moto ad alte prestazioni ed alta tecnologia alle moto utilitarie, per le quali si rinuncia ad inseguire la leggerezza e si fa ricorso a soluzioni consolidate per non dire antiquate, come il cambio al manubrio, pur con idee sempre interessanti come il telaio realizzato con una trave diagonale che collegava sterzo e fulcro del forcellone – un concetto in anticipo di 30 anni – sulla cui intersezione erano installate due piccole molle con funzione elastica. Il motore era appeso.
Il “dream team” e l’avanguardia tecnologica italiana
L’attività progettuale in quegli anni è divisa tra tre gruppi relativamente autonomi. Il primo, guidato da Micucci, si occupa della nascente gamma utlitaria con motore 2T. Il secondo, capeggiato personalmente da Carlo Guzzi, si occupa della gamma media. Il terzo si occupa di innovazione e corse, animato da un vero e proprio "dream team" di tecnici: Giulio Cesare Carcano – l’unico ad avere la fiducia totale di Carlo Guzzi – Umberto Todero ed Enrico Cantoni che sfoderano il Condor, il Gambalunga, il Dondolino, l’Albatros e una lunga serie di modelli con caratteristiche innovative, dalla forcella a biscottini alla carenatura integrale in lamierino di magnesio e dalla canna cromata all’albero motore controrotante.
Anche nella gamma bassa e media per l’uso stradale, Moto Guzzi si distingue per inventiva: il Galletto del 1950 è considerato l’antesignano degli scooter a ruote alte, e ottiene un grande successo; il Falcone 500 diventa per anni il paradigma motociclistico per i centauri italiani e non solo, con il motore a cilindro orizzontale e la forcella telescopica a steli rovesciati al posto dei biscottini fin lì impiegati a Mandello.
Nel frattempo iniziano a piovere i titoli mondiali, piloti e marche: 250, 350, 500 e il prestigioso Tourist Trophy. Nel 1955, mentre Giorgio Parodi si spegne, il tridente Carcano-Todero-Cantoni stupisce il mondo intero con la V8 500 da GP; un frazionamento mai visto, pensato per erogare grande potenza rispondendo ai quattro cilindri Gilera ed MV che stavano surclassando le mono e bicilindriche dell’epoca. Raffreddamento a liquido, distribuzione bialbero con cascata di ingranaggi, basamento in lega di magnesio, teste in blocco: un capolavoro dell’ingegneria mondiale.
La crisi, il patto di astensione e la V7
Ma nella seconda metà degli Anni 50 è ormai evidente che l’interesse degli italiani si sta spostando dalle due alle quattro ruote, le prospettive economiche per i costruttori di moto si fanno meno rosee e Moto Guzzi decide di tagliare sulle ingenti spese sportive: la seguono Gilera e Mondial, che firmano con lei il famoso “patto di astensione”.
Il patto di astensione è il primo segnale di crisi per l’azienda lombarda. Nonostante le innovazioni non si fermino, come la canna del cilindro cromata che debutta, per la prima volta al mondo, sullo Zigolo, la produzione viene come si dice “razionalizzata”, cioè ridotta e semplificata. Intanto dopo Giorgio Parodi se ne va anche Carlo Guzzi, che muore nel 1964 mentre il boom delle auto è diventato una minaccia sempre più grande per chi produce moto.
Siamo alle soglie dell’era moderna di Moto Guzzi, perché è in questo contesto che Giulio Cesare Carcano, un po’ frustrato dal ritiro dalle corse e alla ricerca di una soluzione per uscire dalla crisi, progetta il motore bicilindrico a V di 90° trasversale divenuto da allora il simbolo stesso dell’azienda di Mandello sul Lario. Inizialmente vuol essere un ponte con il mondo dell’auto: è pensato per essere adottato su una versione sportiva della Fiat 500. Ma non se ne fa niente, mentre viene vinta la commessa per un veicolo 3x3 destinato alle Forze Armate.
Sentendosi sicuri nel realizzare motori affidabili, i vertici dell’azienda prendono in considerazione di rivolgersi al mercato militare per superare il momento difficile. Che difficile lo è davvero, visto che Moto Guzzi si avvita in una spirale finanziaria che porta a un vero e proprio commissariamento: il 1º febbraio 1967 la gestione passa in mano a una società costituita dalle banche creditrici, la SEIMM (Società Esercizio Industrie Moto Meccaniche). La nuova proprietà decide di licenziare Giulio Cesare Carcano, peraltro ormai demotivato; al suo posto viene chiamato Lino Tonti, tecnico romagnolo che si è già messo in mostra lavorando per Aermacchi, Mondial e Gilera.
Le maxi sportive e la California
Il settore delle “maxi” inizia a dare segnali di vitalità grazie alla spinta degli inglesi, di altri italiani come Laverda e infine dei giapponesi, e la SEIMM decide di puntare sul recente motore a V trasversale, nato però con un’idea di sportività “automobilistica” più che motociclistica e installato, anziché sulla Fiat 500, su una moto stradale con trasmissione finale a cardano e non particolarmente potente (circa 50 CV) in relazione al peso (228 kg), venduta in versione militare dal 1963 e civile dal 1966.
Tonti si mette al lavoro e trasforma la placida V7 nella V7 Sport (1971),sportiva destinata a entrare nella storia per l’armonia tra motore e telaio, che le consentono di superare i 200 km/h con una stabilità senza paragoni nel resto della produzione mondiale, cui sul circuito di Monza rifila manciate di secondi al giro in una famosa comparativa dell'epoca.
Già allora, però, le sportive sono importanti ma non sono tutto, e la nuova gestione si è mossa per partecipare alle gare di fornitura per la Polizia: prima per quella italiana, per la quale il motore da 703 cc si rivela un po’ sottodimensionato; va però meglio con le successive versioni da 757 cc e poi da 850 cc.
Forte di questa esperienza, su impulso dell'importatore americano Moto Guzzi partecipa nel 1971 alla gara di appalto per la fornitura di moto al Los Angeles Police Department (L.A.P.D.), e con la versione V7 750 Ambassador vince clamorosamente la gara, battendo Harley-Davidson e i giapponesi. Inconfondibile con la sua V trasversale anziché longitudinale, e soprattutto con doti ciclistiche fin lì mai viste oltreoceano, la V7 diventa immediatamente popolare in tutto il mondo.
Per celebrare la vera e propria impresa, e cavalcare il momento di popolarità della cultura americana, viene creato per l’Europa un modello con estetica americaneggiante: la California, destinata a reggere le sorti dell’Aquila per un ventennio tra mille versioni e tante innovazioni, forse non rivoluzionarie come nei decenni precedenti, ma pensate per stabilire un ponte tra il mondo delle due e delle quattro ruote come la frenata integrale, l’alimentazione a iniezione elettronica con catalizzatore allo scarico e, sulla stessa piattaforma, il cambio automatico a convertitore di coppia.
Gli anni difficili e la gestione De Tomaso
Gli Anni 70 vedono ancora una buona popolarità di Moto Guzzi, sebbene arroccata attorno alle virtù del motore V7 declinato in tutte le salse, compresa dal 1977 una versione di 350 cc per sfruttare l’IVA ridotta di quegli anni (la versione tricolore e motociclistica dei dazi di Trump). Oltre alla V7 Sport e alla California ottengono buon successo la Special e la Le Mans, oltre al ciclomotore Dingo 50. Dal 1973 la proprietà è di nuovo privata: l’imprenditore italo-argentino Alejandro De Tomaso la rileva dall’IMI e cerca, con scarso successo, sinergie industriali con Benelli, anch’essa di sua proprietà.
Nonostante i presupposti, Moto Guzzi cade stavolta in una spirale di immobilismo tecnico e carenza di fondi, e gli Anni 80 – sempre sotto la proprietà De Tomaso – sono per l’azienda il periodo più buio. Mandello si aggrappa al successo della California e a quel che resta dell’appeal della Le Mans; resta apprezzata nei Paesi del nord Europa, ma in Italia solo da uno zoccolo duro di fedelissimi mentre tra i giovani sconta l’assenza dal mondo 2T e tra gli altri un’immagine di arretratezza tecnica (paradossale per l'azienda che era stata la più avanzata al mondo) mentre i giapponesi e anche i nuovi costruttori italiani sono lanciati nella corsa all’ultima novità.
Gli Anni 90, il dottor John e la rinascita
L’amore che in tutto il mondo sopravvive per il marchio dell’Aquila sta comunque mettendo i semi per la rinascita degli Anni 90, quando Moto Guzzi prova a cavalcare il successo delle “navi del deserto” con le NTX750 e Quota 1000, ma soprattutto riceve un assist inatteso dalla storica rivale Ducati, capace quasi da sola di rilanciare l’immagine delle moto italiane nel mondo. Anche Guzzi riesce a capitalizzare una certa immagine di sportività “alternativa” grazie al Dr. John (al secolo John Wittner) un dentista americano che nel 1985 è riuscito a vincere nell’AMA Battle of Twins con una Le Mans 1000 modificata, con motore 4 valvole e un originale telaio monoscocca. De Tomaso inizia a supportare il team, che nel 1989 corre anche in Formula 1 (l’antenata della SBK) ottenendo una pole e sfiorando la vittoria a Monza 1989 davanti alla Ducati 851 di Marco Lucchinelli, prima di fermarsi per una banale noia elettrica.
Sulla scia della popolarità ottenuta, Moto Guzzi realizza nel 1992 la Daytona 1000 i.e., sempre a cardano e con interasse chilometrico ma con motore 4 valvole a iniezione e una linea riuscita e moderna, e poi nel 1994 la Sport 1100: stesso stile e telaio ma meccanica più tradizionale. Sono come dicevamo i primi segni di rinnovamento tecnico dopo quasi due decenni di stasi. Di lì a poco arrivano la California 1100 i.e., anche lei con una delle prime iniezioni elettroniche, e la Centauro, una naked di forte personalità che cerca di nuovo di cavalcare il successo della Ducati Monster. Nel 1999 viene presentata la V11 Sport, che recupera il fascino della V7 Sport, e il prototipo di un nuovo motore: sempre trasversale a V, ma di 75° e raffreddato a liquido, accreditato di 140 CV: dovrebbe essere il motore della rinascita, ma il progetto è destinato a perdersi nei subbuglio di un nuovo cambio di proprietà.
Dopo un lungo corteggiamento, infatti, il patron di Aprilia Ivano Beggio riesce nel 2000 ad acquistare il marchio e l’azienda per 60 milioni di euro, di cui 20 per pagare i debiti pregressi: una mossa, peraltro, che contribuirà ad allargare la voragine finanziaria che porterà pochi anni dopo al naufragio del Gruppo Aprilia, visto che i costi per la ristrutturazione della sede, oltre che della gamma, si riveleranno ben superiori al preventivato, per circa 50 ulteriori milioni di euro.
Aprilia, Piaggio e l’era moderna
Aprilia comunque ha le idee chiare su Moto Guzzi, che deve diventare un brand premium capace di coniugare tradizione e stile senza tempo a una tecnologia moderna. Viene messa in cantiere una gamma che conserva l’architettura del motore, abbinata però a una ciclistica sviluppata con le competenze Aprilia, già fra le migliori del mondo: modelli come la Breva 1100 e 750, la Griso 1100, la rinnovata California, la turismo Norge 1200, la racer MGS-01.
Prima che questi modelli possano vedere la luce, però, c’è un nuovo cambiamento societario: Aprilia, entrata in crisi, a fine 2004 viene acquistata dal Gruppo Piaggio, che decide di lasciare la produzione a Mandello portando però il polo dello sviluppo motori a Pontedera e quello dello sviluppo ciclistico a Noale. Ci sono i presupposti per fare bene, ma Moto Guzzi ci mette comunque un po’ a ritrovare una sua identità: inizialmente cerca di porsi come risposta italiana a BMW, con modelli come la Norge 1200 da turismo o la adventure Stelvio 1200, spinte da motori 8 valvole bialbero a camme in testa, non più ad aste e bilancieri.
A differenza di Ducati, Moto Guzzi non imbrocca la “hit”, il modello bestseller; ma nel complesso la risposta a questi sforzi non si fa comunque attendere:se nel 2000, quando Beggio la acquista, la produzione non va oltre le 3.000 unità, nel 2006 si superano le 10.000 moto prodotte a Mandello, un risultato che non si vedeva dal 1983.
Nel 2007 fa il suo ritorno un modello storico, la V7. Stavolta non è più un’ammiraglia sportiva ma una naked-classic entry-level, concreta e costruita con cura. Sarà un “long seller”, restando saldamente nella parte alta delle classifiche di vendita fino a oggi fino a diventare il modello Moto Guzzi più venduto di tutti i tempi. La V7 nasce sulla base della Breva 750 ed è una classica Guzzi con il motore a V ad aste e bilancieri raffreddato ad aria, inizialmente con 5 marce e una cinquantina di cavalli. Bassa di sella, lunga, tranquilla di indole ma stabilissima in velocità, viene progressivamente arricchita nelle dotazioni e nella cavalleria, con motori più grandi e raffinati fino all’attuale 850 con gestione RBW da quasi 70 CV e una ciclistica via via più raffinata in sospensioni, freni e assistenza elettronica. Sulla stessa piattaforma, Moto Guzzi sviluppa poi altri modelli, alcuni di grande successo come la V85TT del 2019.
Il regalo dei cent’anni: il motore del futuro e la fabbrica gioiello
Quando riesci a vendere così tante unità di un prodotto così consolidato nella tecnologia, se sei un’azienda hai fatto bingo: è quello che successe 15 anni prima a Ducati con la Monster, in proporzioni ancora maggiori. I ritorni permessi da questi modelli hanno poi giustificato nuovi investimenti in piattaforme più moderne: nel caso di Ducati il bicilindrico Testastretta, nel caso di Moto Guzzi il poco fortunato 1400 che equipaggiava le ultime edizioni (2012) della California ma soprattutto il V100 “compact block”, nato in occasione del centenario del Marchio e che porta al debutto tutte le tecnologie più moderne sulla classica architettura a V trasversale: distribuzione bialbero con bilancieri a dito, linea aspirazione-scarico verticale anziché orizzontale, raffreddamento a liquido, albero controrotante, alimentazione a iniezione con RBW, frizione multidisco in bagno d’olio e antisaltellamento, quickshifter, basamento cortissimo per un posizionamento più favorevole nel telaio. Un motore che legittimamente ambisce a portare Moto Guzzi nel suo secondo secolo di vita.
Arriviamo così alla Moto Guzzi moderna, un’azienda che ha ritrovato vitalità e vendite, con una identità ben definita costruita attorno a due piattaforme tecniche: il classico motore ad aste e bilancieri raffreddato ad aria da 850 cc delle V7 e V85 TT, e il moderno motore bialbero a liquido da 1000 cc delle Mandello e Stelvio. Nel frattempo la proprietà ha investito anche sul polo produttivo, con un profondo lavoro di ammodernamento per valorizzare la fabbrica, con linee produttive automatizzate di ultima generazione, la galleria del vento e il museo. Fra un anno, a settembre 2026, alla inaugurazione potremo vedere il rinnovato Museo, un negozio Motoplex, una caffetteria, spazi per eventi e percorsi immersivi per i visitatori. Sarà un posto unico al mondo, che promette di essere degno del prestigio del Marchio per portarlo, ci auguriamo, verso nuove vette.
La Moto Guzzi e l'Italia: ieri, oggi e domani
Siamo arrivati ai giorni nostri e vorrei riprendere alcuni punti importanti, di cui di solito si parla poco. Non voglio fare commenti sulla gestione buona o cattiva di Moto Guzzi nel corso degli ultimi decenni, ma una riflessione un po’ più ampia.
La Moto Guzzi è come abbiamo visto nata dal talento di Carlo Guzzi, dai capitali di Giorgio Parodi e dalla passione di entrambi. La famiglia Parodi è all’epoca una ricca famiglia imprenditoriale,attiva in settori tradizionali: il commercio via nave e l’industria conserviera. È verosimile che Angelo Parodi si sia fatto contagiare dall’entusiasmo del figlio, ma è altrettanto probabile che dietro a quegli investimenti ci fosse un calcolo: investire in un settore giovane e promettente. Investire in un settore di alta tecnologia perché la meccanica motoristica, soprattutto sportiva, era con l’aeronautica il grande hi-tech dell’epoca.
Una settantina di anni dopo, quando alla fine degli Anni 90 mi sono laureato in ingegneria meccanica, l’industria della moto italiana ai miei occhi restava hi-tech: era impegnata in una bellissima sfida per la supremazia tecnologica, e mi sembrava un modo di confrontarmi con sfide appassionanti e internazionali, coi colossi giapponesi più dotati di soldi ma forse meno di idee: e insomma quel genere di sfide che tolgono il sonno a un giovane ingegnere.
L'Italia, le moto e il resto
Ero innamorato delle moto, e come tutti gli innamorati non vedevo le cose con particolare lucidità. Certo, c’era ancora qualche barlume innovativo nel mondo delle moto e della mobilità in generale, per carità; ma la meccanica e la mobilità oggi hanno risolto gran parte dei loro problemi, o comunque non sono più alla frontiera della ricerca. Non è, come era cento anni fa ai tempi di Carlo Guzzi, l’industria che ha più impatto sul resto dell’economia. Oggi i settori più promettenti sono altri: intelligenza artificiale, biotech, computer quantistici. Quelli sono i settori in cui si giocano le sfide più appassionanti e difficili oggi: i settori che richiedono più fondi, più ricerca; i settori dai quali dipenderanno il peso e la reputazione dei grandi Paesi nei prossimi anni.
E sono settori dai quali l’Italia è praticamente assente. Certo, continuiamo ad essere fra i più bravi al mondo nelle auto, nelle moto; ma questo potrebbe non bastare a mantenerci all’avanguardia. Abbiamo già sprecato tante buone occasioni come Olivetti nei computer, Telecom nelle telecomunicazioni, Montedison nella chimica: è la storia dell’Italia e dei patrimoni industriali e culturali mandati allo sbando da logiche clientelari al limite del tribalismo.
Possiamo essere contenti che Moto Guzzi sia sopravvissuta, pur se in maniera avventurosa e un po’ museale, come fossile vivente di un’epoca gloriosa. È già un successo, ma facciamo in modo che l’Italia non si accontenti del suo passato. Perché oggi Carlo Guzzi e Giorgio Parodi, probabilmente, si dedicherebbero ad altro.
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