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Perché gli automobilisti non vedono i motociclisti: la psicologia dietro la sicurezza stradale

Redazione
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Perché gli automobilisti non vedono i motociclisti: la psicologia dietro la sicurezza stradale
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Perché gli automobilisti non vedono i motociclisti: la psicologia dietro la sicurezza stradale
Perché gli automobilisti non vedono i motociclisti: la psicologia dietro la sicurezza stradale

Una ricerca dell'Università di Nottingham Trent ha finalmente spiegato scientificamente perché gli automobilisti "non vedono" i motociclisti. E la risposta è meno scontata di quello che si possa pensare (e no, non c'entra la negligenza)

Quante volte ce lo siamo sentiti dire: "Non ti avevo visto!". Una frase che ogni motociclista ha sentito almeno una volta nella vita, spesso dopo aver evitato per un pelo un incidente. Ma ora c'è una spiegazione scientifica a questo fenomeno che va ben oltre la semplice disattenzione.  

UNA RICERCA SPIEGA TUTTO

Un team di ricercatori dell'Università di Nottingham Trent (NTU) ha condotto uno studio intitolato "Motorcycles in the Mind's Eye" (Le motociclette nell'occhio della mente), guidato da David Crundall, Editha van Loon e Megan Hutchinson. I risultati sono affascinanti quanto inquietanti, ma soprattutto offrono una speranza concreta. La ricerca ha dimostrato che il problema non è solo quello che gli automobilisti vedono, ma quello che si aspettano di vedere. Il cervello umano costruisce dei "modelli mentali" - mappe interne che utilizziamo per prevedere come si comporteranno le cose intorno a noi. Se un automobilista non ha mai guidato una moto, il suo modello mentale di come si muove una motocicletta, dove può apparire o quanto velocemente può colmare un gap è incompleto. Partiamo dai dati crudi: nel Regno Unito i motociclisti rappresentano meno dell'1% del traffico stradale, eppure costituiscono quasi il 20% di tutte le vittime della strada. Una sproporzione drammatica (e comune a molti altri Paesi europei) che non accenna a diminuire nonostante i progressi tecnologici, l'equipaggiamento di sicurezza sempre più avanzato e i miglioramenti nella formazione dei centauri. Il dato ancora più inquietante è che una percentuale significativa di questi incidenti mortali coinvolge un altro veicolo, e quando si analizzano i dati, spesso la colpa viene attribuita all'altro conducente.  

IL TEST DELL'INCROCIO A T

I ricercatori hanno utilizzato visori VR per simulare scenari di guida reali, confrontando le reazioni di automobilisti standard con quelle dei "dual drivers" - persone che guidano sia auto che moto. Uno scenario cruciale riguardava un classico incrocio a T: l'automobilista deve svoltare a destra, sulla sua destra c'è una lunga fila di auto ferme, sulla sinistra traffico sporadico in arrivo. Si apre un varco apparentemente sicuro e l'auto inizia a muoversi. Improvvisamente, un motociclista che sta filtrando lungo l'esterno del traffico fermo da destra entra nel campo visivo - troppo tardi perché la maggior parte degli automobilisti dello studio possa reagire. Ma ecco il punto cruciale: i dual drivers, quelli con esperienza sia di auto che di moto, hanno individuato il pericolo molto prima. Le prove hanno dimostrato che questi motociclisti-diventati-automobilisti esaminavano la strada a destra prima, si concentravano sul possibile varco e anticipavano la minaccia prima che si materializzasse.  

I RISULTATI DEI TEST

Il team di ricerca ha quindi sviluppato due video di intervento che spiegavano il concetto di modelli mentali imprecisi e utilizzavano esempi visivi per mostrare come e perché gli automobilisti potrebbero non riuscire ad anticipare l'arrivo delle motociclette. Risultati sui motociclisti: Dopo aver visto il video, il 91% dei 78 motociclisti testati ha dichiarato di aver aumentato la propria comprensione delle cause degli incidenti auto-moto, l'85% ha detto che avrebbe cambiato il proprio comportamento di guida e il 65% ha riferito di aver aumentato l'empatia per le difficoltà affrontate dagli automobilisti. Risultati sugli automobilisti: Tra i 71 automobilisti che hanno visto il video, il 92% ha dichiarato di aver aumentato la propria comprensione degli incidenti motociclistici, mentre l'88% ha detto che avrebbe cambiato il proprio comportamento di guida. Cosa ancora più interessante, l'88% ha dichiarato di aver aumentato l'empatia verso i motociclisti. Rispetto a un gruppo di controllo, quelli che avevano visto il video erano più propensi a credere di poter commettere errori pericolosi in futuro, suggerendo una nuova consapevolezza dei propri limiti. Ancora meglio, quando hanno visto filmati simili allo scenario dell'incrocio a T, il gruppo di intervento era più propenso a identificare correttamente dove poteva apparire un pericolo.  

MA CHE COSA SIGNIFICA QUESTO PER NOI MOTOCICLISTI?

Alla luce di questa ricerca, abbiamo prove scientifiche che confermano quello che molti motociclisti sanno istintivamente: gli automobilisti spesso non ci vedono, non perché siano negligenti, ma perché non sono mai stati nei nostri panni. Il loro modello mentale non si aspetta una motocicletta in quello spazio in quel momento. Secondo, anche se il vantaggio del motociclista nel rilevamento dei pericoli è apparso in uno solo dei quattro scenari testati, potrebbero essere proprio le situazioni più rare e letali quelle che contano di più. Lo studio ha anche dimostrato che, mentre sia motociclisti che automobilisti hanno risposto positivamente ai video di intervento, l'effetto è stato più sostanziale nel gruppo degli automobilisti. Gli interventi psicologici ben progettati possono aiutare gli automobilisti ad anticipare meglio le moto. E questa è una buona notizia per tutti noi.  

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