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Benvenuti nell'era della varietà tecnica

Christian Cavaciuti
di Christian Cavaciuti il 20/06/2025 in Attualità
Benvenuti nell'era della varietà tecnica
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Dopo un periodo di consolidamento della tradizione, i tempi sembrano maturi per una nuova esplosione tecnologica. Ecco tutti i segni

Ci pensavo parlando degli ibridi, ma in fondo vale in generale. Per fare qualcosa di nuovo, Honda ha dovuto ricorrere a un V3 sovralimentato, perché il resto c’è tutto: monocilindrici, twin in linea e a V, triple trasversali e longitudinali, 4 in linea – anche crossplane – e a V, 6 in linea o boxer. Ma un tempo non era così. La gente comprava soprattutto giapponese, e se eri una Casa giapponese dovevi avere in gamma due 4 in linea sportivi (un 600 e un 750 o 1000), un mono 600 da enduro, magari un 125 2T e il resto era mancia: un V2 per qualche custom, un grosso motore da turismo, cose così.

La spinta soprattutto europea – Italia, Austria, Germania, Inghilterra – alla differenziazione ha prodotto una prima ondata di varietà tecnica (con i motori V2 italiani e austriaci e i triple inglesi), a cui i giapponesi si sono adeguati o hanno risposto. Ora l’arrivo dei cambi automatici, degli ibridi e dei cinesi – mescoliamo tre piani completamente diversi, ma così va la vita – sta ulteriormente moltiplicando le scelte e le combinazioni.

Benvenuti nell'era della varietà tecnica

La semplicità degli Anni 80 e 90

Guardando indietro, possiamo sicuramente dire che la varietà tecnica degli Anni 80 e 90 era ben limitata rispetto a quella odierna. Non c’erano cambi automatici, sospensioni elettroniche, riding mode e in sostanza niente che non fosse analogico; ma anche se ci limitiamo alla meccanica, il panorama era piuttosto uniforme.

Nonostante la regolamentazione ancora pressoché inesistente consentisse a chi ne aveva i mezzi – in sostanza soltanto i giapponesi – di realizzare quasi un motore per modello, si trattava invariabilmente di mono 4T o di 4 in linea, con pochissime eccezioni. In piena sbornia da Motomondiale, tutte le moto stradali avevano soltanto telai perimetrali in alluminio e le ruote erano finalmente state unificate alla misura da 17”. C’erano poche tipologie: supersportive, sportive, turistiche, enduro stradali, mentre non esistevano naked, crossover e beninteso maxiscooter. Chi aveva un suo motore – il twin a L Ducati, il V trasversale Guzzi – se lo teneva stretto e lo usava dappertutto, gli altri compravano di solito da fornitori, come Aprilia che si rivolgeva a Rotax.

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Il mondo delle barriere

Era il mondo delle barriere, commerciali e di comunicazione: le cose si facevano in casa, e anche solo per copiarle ci volevano anni. Oggi il know-how è condiviso per effetto della diffusione dell'inglese, di internet, dei viaggi a basso costo, della caduta di tutti i tipi di barriere. I principi della progettazione di un motore o di una ciclistica corretta sono patrimonio quasi collettivo, i costi della tecnologia sono scesi, e insomma nel mondo moderno se non tutto è possibile, poco ci manca.

Prendiamo le sport-touring: Honda propone la NT1100 che deriva dall’Africa Twin: una 2 cilindri con distribuzione monoalbero Unicam, telaio in acciaio, cambio DCT; Yamaha ha la Tracer 9 che deriva dalla MT-09, motore 3 cilindri bialbero, telaio in alluminio, cambio Y-AMT. Kawasaki e Suzuki hanno due "classiche" 4 cilindri in linea, senza cambio automatico, mentre in Europa BMW fa una cosa ancora diversa, la R 1300 RS con motore boxer e cambio ASA.

Certo, per qualche anno abbiamo visto una grande convergenza di tutti – giapponesi, europei, cinesi – sul più razionale dei motori, il twin parallelo; ma è evidente che stiamo per essere testimoni di una nuova era di inesauribile varietà, con motori di tutti i tipi soprattutto dalla Cina, e combinazioni ancora inesplorate soprattutto dal Giappone, che giocherà probabilmente la carta dell’ibrido per mantenere un vantaggio competitivo: Kawasaki e Yamaha hanno già mostrato i primi risultati, e la futura Honda V3 può del pari essere ricondotta a una soluzione ibrida.

Benvenuti nell'era della varietà tecnica

Il ruolo dei cinesi

I cinesi, che anche nel settore moto stanno spingendo per prendere la leadership, hanno già in gamma propulsori di tutti i tipi, per ora nelle cilindrate medio-basse ma ancora per poco – basti vedere il V4 di CFMOTO – e se guardiamo al mondo auto, la tecnologia motoristica ormai non manca loro; gli europei sono più arroccati sulla loro tradizione, ma se il campo di battaglia dovesse spostarsi sicuramente risponderanno.

Negli ultimi mesi abbiamo visto arrivare due triple cinesi (CFMOTO e Zontes), un tiratissimo mono e un V2 Ducati, il V2 750 Morini, il cambio automatico Yamaha e quello KTM, gli ibridi di Yamaha e Kawasaki. Ed è solo l’inizio, perché nei prossimi anni ci aspettiamo molto di più. La competizione sarà serratissima, e bisognerà rimboccarsi le maniche.

Se diamo credito alla teoria degli equilibri punteggiati di Stephen J. Gould, l’evoluzione procede per lunghi periodi di stasi intervallati da rapidi balzi. Sembra proprio che ci troviamo alle soglie di una nuova esplosione: benvenuti nell’era della varietà tecnologica.

Benvenuti nell'era della varietà tecnica
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