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L’Irlanda in moto con l’Honda DCT Tour

Carlo Pettinato il 29/05/2023 in Attualità
L’Irlanda in moto con l’Honda DCT Tour
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Due giorni e 500 km tra Dublino e Cork per scoprire le bellezze locali, sperimentare e godere delle qualità del cambio automatico a doppia frizione di casa Honda

Ho sempre provato un’attrazione innata per le isole britanniche e i loro paesaggi. Per la brughiera, le scogliere a picco sul mare, per il fresco più che per il caldo, per i loro paesini tutti ordinati e graziosi. Sarà il colore dei capelli o la carnagione chiara che ci accomunano, chissà. Così, quando dalla redazione è arrivata la proposta di un tour in Irlanda assieme a Honda, non ci ho dovuto pensare due volte.

Honda DCT Tour, due giorni di guida lungo un itinerario avente come punti di riferimento le città di Dublino, Cork e Tipperary a bordo della gamma con trasmissione a doppia frizione, Dual Clutch Transmission: Africa Twin 1100, NT 1100, X-ADV, Goldwing. Due piccioni con una fava, anzi tre, perché oltre a non essere mai stato in Irlanda, non ho nemmeno mai guidato una moto con cambio automatico né una Goldwing, e per poter ambire a definirmi un giornalista e tester completo devo certamente incamerare anche queste esperienze.

Arrivati in Irlanda, l’accoglienza è qualcosa di stupefacente, a dir poco. Googlate Carton House, date un’occhiata alle immagini e capirete. Ecco l’alloggio per la prima notte: un palazzo costruito nel secolo XVIII come residenza dei duchi di Leinster, a una ventina di chilometri da Dublino. In sostanza, una reggia convertita a hotel e golf club con tutte le sue belle stanze arredate come al tempo e un parco verdissimo e sconfinato con lago e isole inclusi. I locali per la colazione bastano a togliere il fiato.

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La sera del primo giorno, la conferenza stampa è preceduta da una singolare degustazione di whisky in una sala dedicata. Sistema alternativo per rendere tutti più amichevoli nei confronti del signor Cambio Automatico. La dissertazione sul DCT non prevede novità, ma è valida come infarinatura per i meno preparati e per rinfrescare la memoria a tutti sulla tecnica e sulla sua evoluzione, partita nel 2010 con la VFR 1200. Ci attendono quattro moto e due giornate da circa 250 km l’una, ben più che sufficienti per farci una chiara idea di pregi e difetti di questo tipo di trasmissione.

 

IL PRIMO CONTATTO: AFRICA TWIN E WICKLOW MOUNTAINS

Dopo una colazione che definire regale è poco (due uova in camicia con salsa olandese e poi waffle con panna e frutti di bosco, sì ho decisamente esagerato), la prima tappa parte per me su Africa Twin. Gioco in casa e me la rido pure perché dopo pochi chilometri iniziamo a scalare la catena delle Wicklow Mountains e, a giudicare dall’atteggiamento dei colleghi, la strada sembra parecchio dissestata. Dall’Africa me ne accorgo appena. Riesco invece a godermi un paesaggio che fino a ieri avevo visto solo in televisione. La brughiera ha i colori dell’inverno, gialli e marroni con chiazze di verde qua e là, e si alterna a fitti boschi di pini, ruscelli cristallini e cascate che scendono verso un lago o il mare. 

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Al DCT mi sono abituato in una manciata di metri, sarà che guido quotidianamente un’auto con cambio automatico, ma è una di quelle cose che mi sembra di aver fatto da sempre. Il suo funzionamento rasenta la perfezione, non che da Honda mi aspettassi qualcosa di diverso. Sull’Africa il cambio ha quattro modalità, D, S1, S2 e S3; mi trovo bene in Sport 1, che decide di cambiare più o meno come farei io, senza tirare più di tanto le marce ma evitando di farla strattonare con un rapporto troppo lungo. C’è anche la modalità manuale, con le due levette + e – a manubrio. È impressionante la rapidità di cambiata, sembra un cambio seamless da MotoGP (naturalmente non ho mai guidato una MotoGP), premi il + e la marcia entra senza alcuna discontinuità. Mi viene a questo punto da domandarmi perché non si sia ancora vista un’applicazione sportiva di questa trasmissione. Mi viene da pensare che, in termini di tempo sul giro e performance pura, sarebbe inavvicinabile.

Dopo il primo photo point in un angolo mozzafiato delle montagne Wicklow, presso la Glenmacnass Waterfall, arriva la consueta pausa caffè in un localino caratteristico lungo la strada. Non più di tre ore fa ho introitato l’intero fabbisogno giornaliero di una famiglia, ma quando ci viene servito un Irish scone, un pane locale condito con uvetta, pronto per essere farcito ulteriormente con burro e marmellata, non mi tiro indietro. Dentro altre 1.000 calorie.

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La pausa pranzo è a New Ross, cittadina a una trentina di chilometri dal mare. Qui, altro mio grave errore. Mi assento un minuto, quel che basta alla ragazza per prendere le ordinazioni, con i miei colleghi che pensano bene di chiedere per me un piatto di fish & chips. Altra mazzata, ma siamo in gita, è giusto così. 

Dopo il pranzo cambio moto, salto sull’X-ADV: pratico, anche se non il mio tipo ideale di mezzo. Mi godo comunque il trasferimento finale verso Cork, che corre lungo la stupenda strada costiera R675. Altro photo point presso Kilmurrin Beach, con le sue grigie scogliere a picco sul mare d’Irlanda e i verdi prati a fare da sfondo. In tutto ciò, la giornata è splendida, qui probabilmente la definirebbero glorious: sole, 20°C, qualche nuvola qua e là a rendere ancor più pittoresco il paesaggio. Sovra guanti impermeabili ve ne rimarrete nello zaino, mannaggia a voi.

Nei pressi di Cork ci attende un’altra struttura niente male, il Castlemartyr Resort che, come suggerisce il nome, nasce attorno alle rovine di un castello del XV secolo. Anche qui, ambientazione suggestiva, extra lusso e golf club. Che vitaccia questi giornalisti.

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SECONDA TAPPA: SUA MAESTÀ GOLDWING

La seconda giornata prevede il rientro a Dublino con il passaggio per Tipperary a circa un terzo di strada. Salto a bordo della NT 1100, che con l’Africa Twin condivide il motore. Di nuovo, saliamo di quota, il paesaggio lungo la R668 nei pressi di The Vee Pass e Grubb’s Grave è diverso da quello di ieri, qui sembra sia già arrivata la primavera, ci sono cespugli fioriti che spuntano dal verde e dal marrone, giallo, viola, rosa, e il verde è più verde, brillante acceso da questo inatteso sole di fine maggio. Torniamo in pianura, passaggio solo tangenziale a Tipperary e via verso Dublino per strade principali che non mancano comunque di esibire orgogliose ancora una volta le bellezze dell’Irlanda. Cittadine ordinate, ruderi di castelli medievali qua e là, chiese e chiesette gotiche ciascuna con il proprio piccolo cimitero, alcuni relativamente recenti e altri decisamente antichi, con lapidi e monumenti tombali che tradiscono il passare dei secoli. Fosse per me, mi fermerei a visitarli e contemplarli uno per uno. 

L’ultima moto da guidare è la Goldwing, un’istituzione dal 1975. Con il suo 6 cilindri boxer da 1,8 litri suona come una piccola Porsche. È quanto di più distante dalla mia concezione della motocicletta ma non posso non apprezzarla. Il comfort di marcia è fuori scala, le vibrazioni stanno a zero, la protezione aerodinamica è totale e a girare il gas va pure forte; ci credo, ci sono 170 Nm a 4.500 giri. Qui, il DCT si trova veramente a casa. Lo dimostrano i numeri: oltre il 90% del venduto Goldwing è DCT. È una piccola, anzi è piuttosto grande, opera d’ingegneria giapponese. 

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Il rientro a Dublino è attorno alla metà del pomeriggio. Altra puntata a Carton House per i video stand-up di rito e riconsegnare le moto ed è ora di dirigersi verso il centro. Serata downtown con cena in un locale tipico, saluti, baci, abbracci e la sveglia per la mattina successiva è alle 4:30, il volo per l’Italia alle 7.

 

CONCLUSIONI DOPO 500 KM DI DCT

Sono venuto in Irlanda pieno di preconcetti sul cambio automatico per moto. Ma non erano preconcetti necessariamente negativi, di quelli forzati da puristi vecchia scuola. “Il cambio automatico è per gli scooter”, “senza cambio non sarà mai una vera moto”... Nulla di tutto ciò. Avendo già parecchia esperienza automobilistica, osavo immaginare che le sensazioni sarebbero state in un certo senso molto simili, e l’esperienza con il DCT Honda me lo ha confermato. Partiamo da una constatazione: il cambio a doppia frizione Honda funziona molto, molto bene. Per il mio stile di guida non è perfetto, ma ci va vicino. Nel senso che non tutte le cambiate avvengono nel momento esatto in cui le vorrei, buona parte sì. 

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Per chi è dunque una moto con cambio automatico? Si potrebbe riassumere così: è per chi cerchi il massimo della comodità durante la marcia. Per essere esaustivo aggiungo quanto segue. Per chi viaggia sul serio il DCT è una valida opzione; se si sta in sella molte ore, quel pizzico di fatica e concentrazioni richiesti per ogni singola cambiata sommate a fine giornata possono fare la differenza. Su una moto come la Goldwing è la morte sua, anzi, stando così le cose ha poco senso acquistarne una con cambio tradizionale. Su una maxi enduro come l’Africa, dipende dall’obiettivo. Immagino che il fuoristradista tipo preferirà sempre e comunque il comando meccanico e soprattutto la leva della frizione, che su sterrato si usa spesso e volentieri. Ma se il fine sono lunghe percorrenze asfaltate, visitare un paese gustandosi il paesaggio magari in due e con il tris di borse pieno, perché no. Il venduto Africa Twin è suddiviso proprio 50/50.

Per chi non è una moto con cambio automatico? Il cambio automatico non è per chi con la moto voglia instaurare un rapporto carnale, legarsi intimamente alla sua anima più ruvida e meccanica. Chi trae godimento dagli impulsi secchi e metallici della macchina non apprezzerà più di tanto questo tipo di trasmissione, a meno di non riuscire a scindere l’utilizzo quotidiano da quello emozionale. Per andare tutti i giorni in ufficio un X-ADV è un mezzo assolutamente valido, per emozionarsi al solo contatto con le sue fredde superfici allora no. In quest’ottica, l’interposizione di qualsiasi filtro elettronico tra pilota e motocicletta va a togliere percezioni e piacere. Per godere bisogna sentire.

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In ottica velocistica, ben distinta da quella emozionale, è ancora tutto un mistero. Come accennavo, la velocità di cambiata in modalità manuale è qualcosa di fotonico, oso solo pensare quanto si potrebbe essere rapidi in pista con una Fireblade equipaggiata con DCT, ma non sono un pistaiolo e sono quindi pronto ad essere smentito dagli esperti. Staremo a vedere. Invece, l’ingegnere giapponese Dai Arai, papà del DCT, ci ha confessato che sogna una CRF 450 R con cambio automatico. Anche qui, staremo a vedere.

Se avete ancora qualche dubbio, provatelo.

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