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Quando l’asfalto diventa un nemico

Marco Gentili
di Marco Gentili il 25/03/2024 in Attualità
Quando l’asfalto diventa un nemico
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Scarsa manutenzione, poca preparazione degli uffici tecnici, mancati collaudi e progetti carenti: ecco perché viaggiare in moto in Italia è diventata un’attività a rischio. L’inchiesta di Dueruote

La Ziggurat di Ur, che si trova in Iraq ed è una delle più incredibili testimonianze della civiltà sumera, è arrivata fino a noi in condizioni perfette superando i millenni. Impensabile pensare che una strada costruita oggi possa conservarsi altrettanto bene negli anni. Anzi, è già tanto che le strutture viarie odierne non si spaccano dopo pochi mesi. Un parallelismo naturale, considerato che in entrambi questi manufatti il collante usato è il bitume.

 

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IL PREZZO DEL RISPARMIO

La condizione delle strade italiane lo conosciamo tutti. Un numero la spiega meglio di ogni altro: per ripristinare lo stato normale della rete (600mila chilometri di strade asfaltate e 6.757 km di autostrade) occorrerebbero circa 50 miliardi di euro. Risultato di una politica miope che, negli scorsi 15 anni, ha applicato il concetto di spending review nel peggiore dei modi a un bene vitale per il Paese. La cui manutenzione richiederebbe l’impego di circa 40-45 milioni di tonnellate di asfalto all’anno. Un dato che è passato dai 45 milioni di tonnellate del 2006 ed è precipitato ai 22 del 2015. Secondo i calcoli della Siteb, l’associazione che raccoglie le società della filiera stradale, ciò ha permesso agli enti gestori di risparmiare 10 miliardi di euro. Ma a quale prezzo?

Noi motociclisti accusiamo più di ogni altro utente della strada il problema. Abbiamo una ruota davanti, una dietro e nessuna struttura di sicurezza a proteggerci. Paghiamo caro ogni nostro errore. E paghiamo più di ogni altro negligenze e incuria altrui, sia in città sia nei percorsi extraurbani. Ma dare la colpa solo “all’asfalto” è sbagliato. I problemi delle nostre strade infatti nascono da lontano: “I problemi nascono in fase di progetto - spiega Maurizio Crispino, docente al Dipartimento di ingegneria civile del Politecnico di Milano - qui il processo realizzativo della strada nasce carente. Pochi progetti prevedono controlli preventivi, in itinere e finali sul cantiere. Ed è nel progetto che deve essere prevista una manutenzione puntuale e adeguata”.

 

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ZERO CONTROLLI

Per aggirare i problemi, molti capitolati prevedono che gli asfalti debbano avere certi requisiti prestazionali. Che vengono verificati solo sulla carta: i materiali inerti tenuti assieme dal bitume (componente che incide dal 4 al 7% nella composizione dell’asfalto; ndr), hanno determinati valori di “Los Angeles”, ossia l’indice che misura la durezza della pietra, e di CLA, il Coefficiente di levigabilità accelerato, che ne garantisce la prestazione nel tempo. Ci si basa solo su questi per capire quale sarà la “resa” di una strada nel corso degli anni. E una volta steso e compattato, l’asfalto non viene verificato quasi mai sul campo. Solo i grossi gestori di strade a pedaggio, come Anas e Autostrade, dispongono di adeguati macchinari per verificare strumentalmente il CAT (Codice di aderenza trasversale), che misura la performance del manto stradale. Loro però hanno tutto l’interesse a controllare l’asfalto, visto che la prestazione dell’asfalto e l’incidentalità sono due leve utili a incrementare le tariffe di pedaggio. Un buon asfalto, insomma, fa guadagnare chi gestisce le strade.

L’altra faccia della medaglia è quella di province e regioni: oltre che essere carenti di mezzi, hanno anche competenze ridotte in questo settore. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: la manutenzione stradale è dozzinale e dettata dalle emergenze. “In Italia non facciamo manutenzione - dice Jarno Zaffelli, ingegnere di Dromo (lo studio di ingegneria che progetta i circuiti di mezzo mondo) e grande esperto di asfalti - rifacciamo solamente il tappeto d’usura. E in molti casi i tecnici che li approvano non sanno nemmeno quali inerti ci vanno dentro”.

 

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C’È PIETRA E PIETRA

Paradossalmente, il fatto che in commercio esistano innumerevoli soluzioni e miscele per creare i conglomerati ha portato a un aumento esponenziale degli errori di esecuzione. Ma perché sono così importanti gli inerti? Perché sono le punte delle miscele di pietre presenti nell’asfalto che, conficcandosi nel pneumatico, garantiscono l’aderenza sull’asciutto. L’Italia è piena di cave di pietre calcaree, le quali vengono comunemente usate nella composizione degli asfalti. Facili da sminuzzare in granuli, hanno però un difetto: si levigano molto velocemente con il traffico dei veicoli e diventano scivolose. Meglio il basalto, che ha una maggiore resistenza ma è più difficile da frantumare.

“La questione è che in Italia, a livello commerciale, viene venduto come basalto anche ciò che proprio basalto non è. Molte pietre dure e grigie vengono assimilate al basalto, ma non ne hanno la stessa capacità prestazionale”, afferma Jarno Zaffelli. Il risultato è che nel nostro Paese abbiamo regioni con strade apparentemente bellissime e lisce, ma in realtà scivolose e pericolosissime per le moto. Tanto per fare un esempio, nel centro Italia (Toscana, Umbria, Marche e Lazio) molti manti di usura contengono Dolomia, una pietra calcarea molto friabile e che si deteriora facilmente. Nel nordest, invece, la situazione è migliore per gli utenti delle due ruote, perché nelle mescole per asfalti vengono sovente usati materiali che offrono grande grip, come le scorie di altoforno provenienti dalle acciaierie.

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SOLDI SPESI MALE

La riuscita di un asfalto dipende soprattutto dalle capacità dell’impresa. Insomma, puoi avere gli ingredienti migliori del mondo, ma se lo chef è scadente il piatto non riuscirà bene. Un altro problema è che le imprese che si occupano di produrre, trasportare, stendere e rullare l’asfalto lavorano con margini bassissimi (colpa dei capitolati d’appalto in cui a decidere chi si aggiudica il lavoro è il meccanismo del “massimo ribasso”), hanno personale poco qualificato, lavorano in tempi strettissimi e a volte in condizioni climatiche sfavorevoli. Un qualunque tecnico sa che un conglomerato steso con temperature inferiori ai 10 gradi e con condizioni di umidità elevata durerà pochissimi mesi. Eppure in autunno e inverno strade provinciali e urbane sono cantieri a cielo aperto. Uno spreco di soldi, insomma.

A maggior ragione se consideriamo che spesso il problema non è l’asfalto. I tappeti di usura crepati con quelle particolari fessurazioni a “pelle di coccodrillo” che vediamo su gran parte della rete viaria sono sintomo che è il sottofondo della strada ad avere problemi, magari per l’eccessivo carico cui quella strada è stata sottoposta negli anni, o perché essa sorge su un terreno franoso o argilloso. Andrebbe rifatto il fondo, ma costa troppo. E allora si preferisce rifare il tappeto di usura. Insomma, si somministra un palliativo al malato, invece di curarlo.

 

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IL RUOLO DEI PNEUMATICI

In questo quadro desolante, come possiamo difenderci? I nostri strumenti sono piuttosto spuntati, come spiegano alcune cifre: su asfalto asciutto il “miu” (il coefficiente usato dai produttori di pneumatici come unità di misura dell’aderenza) del tappeto di usura va da 0,6 a 0,8 a seconda della tipologia di materiali usati. Su un aggregato calcareo l’aderenza cala drammaticamente, da un massimo di 0,5 a 0,2. Tanto per dare un riferimento, 0,2 è il coefficiente di aderenza della neve fresca. Tutto cambia radicalmente, e in peggio, con l’asfalto umido. Vero è che la mescola della gomma può aiutare ad aumentare il grip (più adesiva è, meglio è). E sul bagnato la profondità del battistrada per il drenaggio dell’acqua gioca un ruolo importante. Ma, purtroppo, basta uno strato d’acqua di 10 micron per classificare l’asfalto come “bagnato”. E in queste condizioni viene meno ogni legame chimico tra la mescola della gomma e l’asfalto.

Altro discorso quello che riguarda le strade urbane, dove gli elementi di discontinuità (tombini, rattoppi a seguito di lavori stradali, sconnessione dei piani, buche e deformazioni) azzerano ogni sorta di aderenza. Insomma, si torna al punto di partenza: servirebbero strade fatte a regola d’arte. E su una rete viaria come quella italiana, purtroppo, non c’è pneumatico che tenga.

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