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Intervista a Yan Haimei (Benelli): "Vi spiego il successo della TRK 502"

Marco Gentili
di Marco Gentili foto Marcello Mannoni© il 26/02/2019 in Attualità
Intervista a Yan Haimei (Benelli): "Vi spiego il successo della TRK 502"
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La general manager svela i piani della Casa di Pesaro che, dopo il successo della TRK, vuole un posto tra i grandi delle due ruote

Una moto normale, non troppo vistosa, non troppo potente, “media” verrebbe da dire. E non solo nella cilindrata. Che però è riuscita a centrare un successo davvero notevolissimo, scavalcando colleghe ben più blasonate e risultando il quinto modello più venduto d’Italia. La Benelli TRK 502 è stata senza dubbio il caso del 2018 per il mercato motociclistico. Perché ha avuto tutto questo successo? I maligni dicono che il segreto stia tutto nel prezzo. I suoi fan invece ne esaltano le doti di moto tuttofare.

La verità però è un’altra. E la si capisce parlando con Yan Haimei, numero uno di Benelli e braccio operativo in Europa della Q.J., colosso delle due ruote con sede a Wenling, in Cina. Yan Haimei, Klara per amici e colleghi, non segue il cliché del classico dirigente cinese. Innanzitutto è donna, cosa non scontata in un ruolo chiave come quello che riveste. Ha modi molto garbati, parla un inglese impeccabile, sorride ed è incredibilmente loquace, mentre ci saremmo aspettati un burocrate rigido e abbottonato nelle dichiarazioni. La chiacchierata con lei è stata un’autentica sorpresa.

 

Dalla Cina a Pesaro (via Budapest)

Signora Yan, partiamo da lei. Perché il soprannome Klara?

“Dopo la laurea in economia e lingue, ho studiato per alcuni anni in Ungheria. Lì il professore, che non aveva molta dimestichezza con i nomi degli studenti stranieri, ci ha ribattezzati tutti con nomi del posto. A me è toccato Klara. Da allora mi è rimasto attaccato addosso. E mi piace così tanto che lo uso al posto del mio. In Europa è più facile fare affari con un nome occidentale”.

Ci parli di lei.

“Sono arrivata 26 anni fa in Europa, lavorando nell’ambasciata cinese a Budapest. Poi ho lavorato in aziende di componentistica fino a quando nel 2002 sono stata assunta da Q.J. per coordinare le attività europee del marchio Keeway, che ha il suo quartier generale proprio in Ungheria”.

Poi nel 2005 si è trovata a gestire l’acquisizione di Benelli.

“Credo che quest’azienda fosse nel mio destino. Già nel 1999, durante una fiera della moto a Budapest, ebbi modo di vedere una Benelli e me ne innamorai. Ricordo come fosse oggi la prima volta che sono venuta a Pesaro. Io e altri dirigenti della Q.J. siamo partiti in auto da Budapest, percorrendo mille chilometri in una giornata”.

Dal 2006, dopo l’acquisizione, è diventata amministratore unico di Benelli. Da allora ci avete messo un po’ a ingranare.

“Siamo entrati in azienda e abbiamo dovuto affrontare subito la più grossa crisi del mercato delle due ruote degli ultimi anni. Poi abbiamo dovuto capire come posizionare il marchio su mercato, quali gamme di prodotto sviluppare, e poi realizzare le moto. Il rilancio di Benelli di fatto è iniziato nel 2017. E i primi frutti si vedono adesso”.

 

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Il boom della TRK502

Secondo lei, qual è il segreto del successo della TRK 502?

“Non mi piace parlare di successo: come Benelli siamo solo all’inizio, abbiamo moltissima strada da fare per recuperare la distanza che ci separa dai grossi produttori di moto”.

Mi sembra una che non si accontenta.

“Abbiamo tutti gli strumenti per diventare grandi, oggi non lo siamo ancora”.

Torniamo alla TRK 502.

“Con questo modello siamo riusciti a far incontrare le caratteristiche di un prodotto con ciò che il pubblico cerca. Domanda e offerta si uniscono. Così nascono le cose fatte bene”.

E avete dimostrato che in Italia anche un prodotto realizzato in Cina può sfondare.

“C’è voluto tempo, ma ormai il pubblico ha la chiara percezione che dire ‘moto cinese’ ormai non significa più ‘prodotto di livello mediocre’. Il livello dell’industrializzazione in Cina muta radicalmente di mese in mese. Oggi le fabbriche sono robotizzate, ad altissima efficienza, capaci di sfornare una grande quantità di prodotti con livelli di qualità eccellenti. Anche superiori a quelli europei. E tenendo bassi i prezzi. Nella nostra industria sta accadendo ciò che è successo al mercato degli smartphone, con le aziende cinesi che sono diventate leader mondiali per numeri me soprattutto per qualità”.

 

I piani per il futuro

Dove vuole arrivare Benelli?

“Vogliamo diventare un brand capace di intercettare tutti i segmenti di pubblico. Con la gamma Adventure abbiamo avuto fortuna, e per questo la svilupperemo anche con modelli di cilindrata inferiore. Stesso discorso con le famiglie Leoncino e con le naked. Adesso vendiamo circa 40mila moto in tutta Europa e puntiamo a crescere moltissimo nel 2019. Prevedo tassi percentuali a doppia cifra. Ma dobbiamo colmare ancora molti buchi”.

A cosa si riferisce?

“Dobbiamo crescere molto in Germania, Francia e Regno Unito. Inoltre a EICMA abbiamo presentato il concept della Leoncino 800, piattaforma per una moto di cilindrata maggiore. Ma puntiamo anche a crescere con motorizzazioni più grandi. E per venire incontro ai gusti dei mercati europei abbiamo inaugurato qui a Pesaro, alla fine di novembre, il centro di ricerca e sviluppo del gruppo Q.J.”.

Dobbiamo aspettarci motori 1000 cc quattro cilindri?

“È un’informazione confidenziale... dovrete aspettare ancora per saperne di più.
E di sicuro non se ne parla per il 2019, ci sarà da aspettare qualche anno”.

Nel futuro di Benelli ci saranno delle moto sportive?

“Quello delle sportive rappresenta una nicchia che, per le sue dimensioni, non vale la pena approfondire troppo. Abbiamo moltissime possibilità di crescita e siamo ancora molto focalizzati sulla gamma moto. Ma penso che per diventare davvero grandi in Europa sia necessario dotarsi di una gamma di scooter e di mezzi per il commuting urbano”.

E sull’elettrico?

“L’elettrico, o anche l’ibrido, rappresenta la soluzione per il prossimo futuro. Adesso però è ancora in una fase embrionale. Oggi la tecnologia delle batterie cambia giorno dopo giorno, e i costi sono troppo elevati. Secondo, il tempo di ricarica è ancora troppo alto per essere competitivo con il motore endotermico. Fino a quando la tecnologia non sarà più stabilizzata, non partiremo con un progetto del genere”.

Tra le novità presentate all’ultimo Salone di Milano, siamo rimasti piuttosto incuriositi dalla Imperiale 400, una moto poco europea come gusto.

“Ragioniamo sempre nell’ottica di una multinazionale. Con la Imperiale, che tra l’altro fu un modello di successo negli Anni 50 del secolo scorso, puntiamo a fare grandi numeri sul mercato indiano, dove Royal Enfield miete successi con modelli old style, semplici ed essenziali, come quello”.

Come si concilia il ruolo di multinazionale Q.J. con quella di una realtà ancora locale come Benelli?

“L’apporto di Benelli e dei suoi tecnici è fondamentale. Non è un caso che lo scambio con i loro omologhi di Q.J. è continuo, così come lo sono le trasferte di lavoro in Cina. Del resto non possiamo pensare di produrre una moto ed esportarla in tutto il mondo così com’è. Ogni mercato ha le sue richieste, e il futuro sarà caratterizzato della personalizzazione, non dalla produzione di massa. Per questo l’occhio local di Benelli è la nostra forza. In Cina ad esempio non abbiamo il know how per le grosse cilindrate che hanno qui”.

Secondo alcuni la vostra 502C assomiglia troppo alla Ducati XDiavel.

“È un’opinione e la rispetto come tale. Ma penso che siano due moto completamente differenti: il nostro è un mezzo con lo stile da cruiser che però ha la comodità dello scooter, si rivolge a un pubblico urbano, che non cerca le prestazioni a tutti i costi. Abbiamo avuto un ottimo riscontro di pubblico e siamo sicuri che sarà il nostro asso nella manica per il 2019, vi stupirà”.

Ci spiega perché in Cina la produzione si è specializzata negli anni sulle basse cilindrate?

“Il governo per anni ha impedito che le industrie nazionali e straniere producessero o anche importassero moto di cilindrata superiore ai 250 cc. Solo negli ultimi anni c’è stata una timida apertura in questo senso. E poi la politica ha sempre penalizzato le grosse cubature: per tutte le moto superiori ai 250 cc c’è l’obbligo di dotarsi di un permesso speciale di guida e di una targa apposita, molto costosa per gli standard nazionali. Io stessa, che vengo da una famiglia dove mio padre assemblava le moto pezzo per pezzo per aggirare le regole sull’importazione dei modelli, faccio parte di una generazione che vede il duemmezzo come la cilindrata di riferimento. E la guido ancora oggi quando sono in Cina”.

Lei è spesso in giro per il mondo e ha una solida base in Ungheria, ma da anni trascorre metà del suo tempo a Pesaro. Cosa le piace dell’Italia?

“I paesaggi, la gente, e l’ottimo pesce che mangio sul lungomare”.

 

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