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Furti senza frontiere

Marco Gentili
di Marco Gentili il 20/11/2018 in Attualità

L’inchiesta di Dueruote: le mani delle mafie ucraina e moldava sui mezzi di grossa cilindrata. E quelle della criminalità africana sugli scooter. Ecco le tecniche usate per farli sparire

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Chi ha scritto la Convenzione di Schengen, l’accordo che ha abolito i controlli alla frontiera tra gli stati europei aderenti per favorire la libera circolazione di uomini e merci, non ci avrà sicuramente pensato.

Ma lo stesso documento che ci permette di non fare file interminabili in aeroporto o all’interno dell’Unione europea, è ciò che permette ai ladri di moto di far scomparire velocemente i mezzi dalle nostre strade, dai nostri box, da sotto al nostro naso. Dati alla mano, se il furto di motoveicoli non è un’emergenza nazionale in termini numerici (grazie anche al lavoro tempestivo svolto dalle forze dell’ordine sul fronte dei rinvenimenti), lo è per l’estrema specializzazione e per la dimensione internazionale che sta raggiungendo. Dimentichiamo il piccolo criminale che ruba lo scooter per rivenderlo al primo carrozziere truffaldino, o la malavita locale.

Il furto di moto e scooter è, almeno dal 2013, affare di una rete sfuggente e difficile da individuare, dove a farla da padrone c’è la criminalità ucraina e moldava da un lato, e quella nigeriana e ghanese dall’altro. Le tecniche usate sono sempre più raffinate, efficaci e veloci. Tanto che la Polizia stradale da anni si è dotata di una divisione dedicata (la terza), guidata dal primo dirigente Giuseppina Minucci. Il braccio armato della lotta ai furti di moto e scooter nelle nostre città si chiama Francesco Petito, ispettore superiore della Polizia di Stato, che dal 1999 (ossia quando è stata creata la divisione) è impegnato nel braccio di ferro quotidiano contro gli autori del crimine più odiato da tutti i motociclisti. È lui a guidarci in un incredibile giro del mondo a caccia delle moto.

 

24 ore poi più nulla

“I ladri di moto sono sempre più specializzati - racconta Petito - e poco stanziali. A differenza delle organizzazioni criminali che trafficano in auto, ben radicate in Italia e che possiamo seguire attraverso pedinamenti, intercettazioni ambientali e di cui conosciamo molto, chi traffica in moto usa la tecnica del furto itinerante”. Dietro questo termine si nasconde il modus operandi più fulmineo che esista. Forti di basisti locali (quasi sempre connazionali) che segnalano le moto più appetibili da rubare, i garage o i parcheggi più frequentati, e anche le abitazioni private in cui vengono parcheggiate le moto, questi criminali arrivano da Ucraina e Moldavia a bordo di furgoni.

“I modelli prediletti sono il Mercedes Sprinter e l’Opel Vivaro - dice Petito - che si distinguono perché hanno targa straniera”. Una volta arrivati a destinazione, approfittano del buio per mettere a segno i propri colpi: prima scelgono le vittime, ne studiano le abitudini, arrivano e colpiscono. “Rubare una moto o uno scooter è la cosa più facile del mondo - prosegue Petito - basta essere in due e caricarla sul mezzo”. Che diventa un’officina ambulante: le moto infatti vengono smontate nel retro del furgone. Un van di quelle dimensioni ne può ospitare fino a quattro, ben occultate con masserizie e merci-civetta. I colpi avvengono quasi in simultanea nelle varie città italiane.

“È come se assistessimo, senza preavviso, a una specie di invasione di ‘batterie’ (termine con cui vengono indetificate le bande criminali; ndr) che operano soprattutto su Milano, Roma, Genova e Bologna”, dice Petito. Ma cosa rubano ucraini e moldavi? Soprattutto moto di grossa cilindrata e sportive, dalle BMW R 1200 GS alle Ducati, passando per le naked giapponesi che vanno molto di moda in quei Paesi. In genere si tratta di un furto redditizio: le vittime sono sempre moto di elevato valore commerciale. Nonostante gli sforzi della Stradale, riuscire a fermare queste moto è difficilissimo.

I furgoni non hanno targhe conosciute agli inquirenti, perché spesso vengono presi a noleggio nei paesi di origine o sono intestati a prestanome. E ad aprire loro la strada sulla via del ritorno c’è sempre un’auto civetta, che segnala al furgone con la merce l’eventuale presenza di pattuglie. A complicare le cose c’è proprio l’area Schengen: se non ci sono attività di polizia giudiziaria in corso, un anonimo furgone trova la strada spianata fino alla prima dogana, quella ungherese.

 

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Il confine più caldo

La criminalità dell’est fa uscire le moto dall’Italia sfruttando due direttrici. La prima è quella che passa dal Brennero e attraversa Austria e Ungheria, mentre la seconda transita da Slovenia e Austria. Il vero scoglio che i trafficanti devono superare si chiama Zahony. Questo paese di poco più di 4mila abitanti al confine tra Ungheria e Ucraina è l’unica dogana che i trafficanti devono attraversare. È qui che viene intercettata la maggior parte dei mezzi rubati, grazie al lavoro dell’Interpol.

Ma come in tutti i posti di frontiera, sono tante le merci che riescono a superare le maglie dei controlli. E da qui si perde ogni traccia delle moto. In Ucraina vengono portate nelle regioni dove è più difficile fare controlli di polizia, come il Donbass (teatro degli scontri tra eserciti russo e ucraino), mentre altre prendono la via della Moldavia. Qui, a 48 ore dal furto, vanno incontro a un duplice destino: una minoranza viene rivenduta al minuto come pezzi di ricambio, ma la maggior parte viene rimontata e rivenduta attraverso i portali specializzati usedauto.com.ua, auto.ria.com.ua, sevastopol.info e motosale.com.ua. In molti casi è possibile rintracciare in vendita moto con ancora montata la targa italiana. Una moto rubata può fruttare dai 5 ai 7mila euro. Tutto guadagno per le organizzazioni criminali, le cui uniche spese sono la manodopera, i pedaggi autostradali e la benzina per il viaggio dei furgoni.

 

Tra corruzione e burocrazia

Ma cosa succede se un motociclista ritrova la propria moto? Ipotizzando che uno ci riesca (le inserzioni di moto rubate hanno tempi di permanenza molto bassi su questi portali; ndr), si può fare poco. “Bisogna avvertire la polizia del Paese dove viene rinvenuta la moto, attendere che la rintracci e provveda al sequestro. Poi devono essere attivati i canali ufficiali (come l’Interpol) per avvertire il proprietario del rintraccio e del sequestro della propria moto, che poi viene condotta in ambasciata. Da qui, attraverso società specializzate, è possibile svolgere le pratiche amministrative per riportarla in Italia.

Una spesa, in termini di tempo e soldi, che supera il valore del mezzo” dice Petito. Non è un caso se la moto che qualche mese fa la trasmissione televisiva “Le Iene” si vantava di aver rintracciato in Ucraina, giace a tutt’oggi nell’ambasciata italiana. Infine, una cosa che si sa ma non si dice ufficialmente è che il tasso di corruzione e il continuo turnover di parte della polizia ucraina rappresentano scogli difficili da superare per le polizie europee.

 

Il fronte africano

La tipologia di veicoli più rubata in Italia è quella degli scooter. Che fa gola a un altro tipo di criminalità, già intercettata dalla Polizia stradale: quella gestita da nigeriani e ghanesi. Questi riciclano mezzi di piccola cilindrata attraverso la containerizzazione: “Il traffico, diretto verso i Paesi del Centro Africa e in seconda battuta verso il Maghreb, consiste nello stipare e occultare motoveicoli rubati in container colmi di mercanzia varia e spesso anche di rifiuti speciali”, dice Petito. I porti prediletti dalle organizzazioni criminali sono Livorno e Genova. Questi è anche lo scalo prediletto dai ladri di moto francesi che, con il collaudato metodo dei furgoni-officina, usano il porto ligure come base per i loro traffici nel Nord Africa e che spesso vengono intercettati dalla Polizia nell’ambito di controlli sul territorio. Ciò fa dell’Italia non solo il Paese di origine del veicoli rubati, ma anche uno snodo di passaggio per i traffici provenienti da altri Paesi.

 

I rimedi anti ladro

Bisogna rassegnarsi: difendere la propria moto dalle grinfie dei criminali è sempre più difficile. “I sistemi passivi o meccanici sono del tutto inutili. L’allarme sonoro può essere un dissuasore. Ma il sistema più efficace resta la geolocalizzazione con GPS o scatola nera. Anche se i ladri ormai sono abituati a neutralizzare questi strumenti. Basta un disturbatore di frequenza, o un ladro capace di individuare e rimuovere il sistema di localizzazione, per rendere la moto irrintracciabile”, avverte Petito.

La lotta alle mafie delle moto prosegue incessante, anche perché i criminali dell’Est affinano le loro tecniche: “I ladri si sono accorti di essere troppo riconoscibili per via dei furgoni usati nei loro colpi, ed è così che alcuni si sono dotati di mini SUV che possono ospitare una moto smontata”, avvisa Petito. Di recente la Polizia - sulla scorta delle esperienze tedesche e austriache - si è dotata di un pool composto da 25 specialisti per combattere i traffici internazionali di veicoli. Che in qualche caso si intrecciano con quelli locali: in Emilia Romagna, in un negozio di proprietà di cittadini italiani, sono state rinvenute sei moto rubate in Lombardia e smontate, pronte a entrare nel giro del riciclaggio di parti di ricambio sui siti online di vendita. La lotta continua, senza sosta.

 

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