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GiVi: dentro ai segreti della creatura di Giuseppe Visenzi

Marco Gentili. Foto di Cristiano Morello il 22/02/2018 in Attualità

Intervista con il patron dell'azienda bresciana, alle prese con il passaggio generazionale (con l'ingresso di Marco Colombo come direttore generale) e l'idea di una quotazione in Borsa

GiVi: dentro ai segreti della creatura di Giuseppe Visenzi
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Qualche mese fa è successo qualcosa di molto strano, alla cena di Natale organizzata come al solito dal patron Giuseppe Visenzi per i 130 dipendenti GiVi che lavorano nel quartier generale di Flero, nel Bresciano. A tenere il discorso di auguri non è stato l'uomo che 40 anni fa fondò l'azienda che porta il suo nome e tuttora la gestisce, ma sua figlia. Hendrika Visenzi da tempo ricopre ruoli di primo piano in azienda e sarà lei a gestire il periodo di transizione in atto. Quale? L’inserimento di Marco Colombo, 52 anni, l’ultima persona assunta da Visenzi nella sua famiglia professionale, lo scorso luglio.

Non si tratta di un'assunzione qualunque. Colombo infatti è entrato in azienda con i gradi di direttore generale. Ed è colui che avrà il compito di sostituire il "signor Visenzi", uno che in azienda è tanto amato quanto temuto e rispettato da tutti. Visenzi, voce ferma e sguardo vivace, è uno la cui mente gira a velocità folli, che pensa in prospettiva, che ha una visione, nonostante i 77 anni. È un uomo che, nonostante i traguardi raggiunti, quasi si vergogna a parlarne. Visenzi ha due doti rare: l'umiltà e quello che gli inglesi chiamano understatement, il basso profilo. Lo si capisce anche dalla sua automobile, molto low profile: una Toyota Prius bianca che avrà almeno sette anni di vita. Di lui colpiscono due caratteristiche tipiche dell'imprenditore che si è fatto da solo: una determinazione e una schiettezza senza pari. "Mi dica tutto - attacca lui - guardi, oggi è una giornata un po' così, ho appena fatto una sfuriata a un fornitore…", dice quasi per scusarsi.

Visenzi, cosa sta succedendo in GiVi?
"Succede che sono stanco, l'età avanza e per me è arrivato il momento di fare un passo indietro. Marco Colombo è un manager in gamba, gli sto dando una mano a inserirsi".

Vuol dire che lascerà il ponte di comando?
"Resterò come presidente onorario. Colombo e mia figlia Hendrika, che è amministratore delegato, sanno che possono sempre contare su di me, se ne hanno bisogno. Ma l'azienda ha sempre avuto una gestione familiare, e per crescere deve essere gestita da manager".

Beh, però la sfuriata al fornitore l'ha fatta lei, mica Colombo.
"Sì ma Colombo era insieme a me…, l'abbiamo fatta insieme".

Una visione lungimirante, la sua. Ci aveva visto lungo anche nel 1978, quando fondò l'azienda.
"Dopo aver corso da pilota privato nel Motomondiale aprii una concessionaria Honda a Brescia. Non avevo molti soldi da parte e, grazie ai miei buoni rapporti con Honda, riuscii ad avere condizioni di favore per acquistare meno mezzi di quelli che di solito i concessionari devono avere in magazzino. Ricordo ancora oggi che all'inizio, per aprire la mia attività in viale Piave a Brescia, spesi 120mila lire per rilevare uno spazio commerciale a un'asta fallimentare. All'interno io e mia moglie Wilhelmina (con cui è sposato da 53 anni; ndr) trovammo decine di bottiglie di vino e liquori. Lei ebbe l'idea di confezionarle in ceste allestite ad hoc, e in pochissimi giorni vendemmo tutto, rientrando dell'investimento iniziale".

La sua idea di produrre accessori per moto nasce negli anni in cui aveva la concessionaria?
"Volevo fare altro e, dopo aver fatto qualche esperimento con un paramotore in plastica, nel 1978 feci il grande passo. Nacque il primo bauletto a marchio GiVi. Lo portammo in Fiera a Milano e fu subito un successo inaspettato. Il fatto di essere già noto nell'ambiente delle corse fu decisivo: molti dei miei contatti di allora mi aiutarono a far conoscere il prodotto sui mercati esteri".

Qual è il segreto del successo di GiVi?
"Non ci sono segreti: in GiVi abbiamo sempre puntato sulla qualità. I nostri prodotti sono fatti per durare nel tempo, e il successo dei nostri bauletti lo testimonia. A tal punto che ormai sono le stesse Case motociclistiche a chiamarci per produrre i loro accessori".

Com'è cambiato il modo di produrre bauletti nel corso degli anni?
"Il pubblico cambia. Bisogna essere attenti alla qualità, ma anche alla capienza, al design e al comfort. Ma soprattutto sono cambiati i processi produttivi: dalla lavorazione artigianale dei primi anni oggi siamo un'azienda sempre più orientata al 4.0. Tutti i macchinari sono connessi tra di loro in tutti gli stabilimenti del mondo (GiVi ne ha anche in Malesia, Vietnam, Brasile e Tunisia; ndr) e i loro dati vengono elaborati e studiati per migliorare la nostra capacità di produzione".

Come vengono gestiti ordini e produzione?
"Siamo un'azienda flessibile e ci basiamo sulle richieste del mercato. Se c'è necessità, possiamo produrre bauletti di una moto di 10 o 20 anni fa, e anche rimettere in produzione lotti di piccolissima serie, anche 30-40 pezzi, un un periodo che oscilla tra la settimana e il mese di tempo. Questo perché, nel dna di questa azienda diventata industria, c'è sempre un retaggio artigianale".

Oltre al mercato dei bauletti, che sono il pezzo forte dell'azienda (valgono 100mila pezzi all'anno, ndr), quali sono i settori che tirano di più?
"Parabrezza e paramotori, poi a cascata gli altri accessori. È anche difficile dare proporzioni precise, abbiamo oltre 1.000 articoli a catalogo".

Tra le innovazioni più recenti, gli appassionati sono rimasti favorevolmente colpiti dal trolley per trasportare le borse da moto. Di chi è stata l'idea?
"In realtà già 10 anni fa abbiamo prodotto una borsa da viaggio che si attaccava al nostro portapacchi, quindi non è un'idea del tutto nuova. Abbiamo dato nuova vita a quell'idea grazie al suggerimento di alcuni nostri importatori stranieri che hanno visto quel vecchio prodotto in azienda. E sta avendo successo".

Un altro dei segreti di GiVi è l'attenzione ai brevetti.
"Ne depositiamo una media di 10 all'anno. Ci servono per rendere i nostri prodotti sicuri e di qualità superiore. Pensi alla borsa in alluminio, lanciata pochi anni fa: ha il sistema di chiusura Security Lock con doppio catenaccio brevettato, nessun produttore sul mercato offre un prodotto con questi livelli. E come quello ce ne sono tanti, dal MonoKey al MonoLock".

Come nascono queste idee?
"Dal confronto continuo con i clienti, gli appassionati, i dealer. E soprattutto andando tutti i giorni a parlare coi ragazzi dell'ufficio tecnico, il cuore dell'azienda".

Senza tralasciare l'università.
"Da sempre credo nel valore delle persone. I macchinari si comprano, ma il talento si individua e si forma, è un investimento che deve fare l'azienda. Solo nell'ultimo anno abbiamo assunto due ragazzi appena usciti dall'università e a breve ne assumeremo un terzo".

Come ha reagito GiVi alla crisi?
"Siamo stati tra i primi a internazionalizzare la produzione. Sono più di 20 anni che siamo presenti all'estero (il primo stabilimento estero è nato in Malesia nei primi Anni 90; ndr). E poi il fatto di avere da sempre una dimensione internazionale ci ha reso per certi versi immuni dalla crisi del mercato italiano. Per esempio, sa che siamo fortissimi in Giappone? E che non abbiamo mai licenziato una persona, nemmeno negli anni più difficili?".

Lei parla sempre di qualità e sicurezza. Qual è il prodotto che per GiVi comporta maggiori criticità in termini di sicurezza?
"Sicuramente il casco: per questo prodotto abbiamo un laboratorio interno che si occupa dei test sul prodotto. Ma non sottovalutiamo l'aggancio delle valigie, che è la parte più stressata durante il viaggio. Su questo componente facciamo test stressanti, ben oltre la capacità di carico consigliata. Tenga presente che qualche anno fa il nostro importatore tedesco un giorno ebbe l'idea di produrre in proprio gli attacchi. La qualità non era la nostra, purtroppo. E i numerosi incidenti occorsi ai motociclisti lo testimoniano".

Come vengono testati i vostri prodotti?
"Sul campo, prima di metterli in commercio. Ma lavoriamo moltissimo al banco. Adesso, tanto per fare un esempio, stiamo conducendo test massacranti su un bauletto di prossima produzione, che equipaggia una moto-muletto senza ammortizzatori. Il nostro obiettivo è scoprire qual è il pezzo che si rompe prima. II problema è che non si rompe nulla".

È il sogno di ogni produttore di accessori. Oppure il peggior incubo: se i vostri prodotti diventano eterni, il giro d'affari cala.
"I nostri bauletti durano da sempre più di quelli della concorrenza. Eppure il giro d'affari non è mai calato. Ci sono dei nostri concorrenti cinesi che producono valigie che scoloriscono dopo un anno. Le nostre, per ridursi in quelle condizioni, ne impiegano almeno 20. La differenza la fanno le materie prime: noi usiamo sempre plastica vergine, loro la riciclano fino a 10 volte".

C'è qualcosa di cui va particolarmente fiero?
"Direi di no. Non ho mai avuto il tempo di pensarci". Ha qualcosa da rimproverarsi?
"Rifarei tutto ciò che ho fatto finora".

Si ritiene un capo azienda severo?
"Sì, mi ritengo tale, ma ormai un capo severo non serve più. Per fare il salto di qualità servono i manager".

Un'azienda familiare come GiVi come può fare un salto di qualità?
"Quotandosi in Borsa. È un'opzione che teniamo ben presente e che valutiamo, soprattutto dopo che Borsa Italiana ha aperto i segmenti dedicati alle piccole e medie imprese".

Visenzi, lei è uno all'antica. Non rilascia mai numeri sull'azienda.
"Eh ma sa, noi sui numeri preferiamo restare defilati…".

E uno di solidi valori.
"Sono molto cattolico, non lo nascondo. Se l'azienda cresce e c'è lavoro per tutti, è giusto rendere grazie al Signore. Ed è anche per questo che prima della cena aziendale di Natale andremo tutti a messa".

È per modestia che Visenzi non parla di cifre. I numeri che siamo successivamente andati a raccogliere descrivono infatti un'azienda in piena salute. Gli ultimi dati disponibili, riferiti a dicembre 2016, raccontano di oltre 50 milioni di euro di fatturato annuo, un margine operativo lordo di 5 milioni e 669mila euro e una realtà che cresce a ritmi del 10% all'anno. Una realtà di cui andare orgogliosi.

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