Attualità

Motociclisti e Costituzione

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Leggi vessatorie per chi va in moto. Sono anche incostituzionali? Lo abbiamo chiesto ad un avvocato molto esperto in materia

Questo è un articolo un po' anomalo, ma è anche un'indagine giuridica che costituisce il naturale sbocco dell'inchiesta – pubblicata sul numero di aprile 2010 del nostro mensile Dueruote – sulle norme che in modo più evidente discriminano i motociclisti nei confronti degli altri utenti di mezzi di trasporto privati.
Capita spesso, nei forum di motociclisti, al bar, nelle sedi dei moto club, in cima ai passi dell'appennino, di discutere di questioni giuridiche legate all'uso della motocicletta, magari in relazione a un ricorso che si vorrebbe presentare per una multa ritenuta ingiusta.
Le norme che abbiamo scelto di trattare sono tra quelle più spesso contestate e che a volte sembrano in contrasto stridente addirittura con la Costituzione. Il punto però è che il privato cittadino non può rivolgersi direttamente alla Corte Costituzionale (altrimenti detta Consulta) l'unica autorità che può decidere la liceità di una legge. Deve invece rivolgersi tramite avvocato a un giudice ordinario, il quale può accogliere l'eccezione di incostituzionalità sollevata, dichiarandola "non manifestamente infondata", oppure respingerla per "manifesta infondatezza". Nel primo caso il giudice trasmette gli atti alla Consulta che si pronuncerà in via definitiva sulla questione, nel secondo precluderà al ricorrente ogni possibilità di ulteriore giudizio.
È evidente quindi che la condizione per avere qualche probabilità di accoglimento della propria tesi è disporre di motivazioni ineccepibili a sostegno del contrasto che si intende sollevare fra una norma di legge e la Costituzione. Si tratta di studi che non sono alla portata di tutti, ma richiedono notevole esperienza specifica, per questo abbiamo posto i nostri quesiti al dott. Valerio De Luca, noto avvocato costituzionalista romano, che ha gentilmente accettato di offrirci il suo prezioso contributo.

Queste le questioni in "odore di incostituzionalità" che gli abbiamo sottoposto:
- L'obbligo di corrispondere una tassa di minimo 30 euro (+ 8 di rimborso forfettario) per i ricorsi al giudice di pace.
- I divieti di circolazione esclusivamente rivolti alle moto.
- La discriminazione a favore delle automobili nel caso di divieti di circolazione in città per allarme smog.
- La pesante disparità di trattamento fra automobilisti e motociclisti nel caso di fermo amministrativo del veicolo.
- La determinazione di sanzioni differenti per automobilisti e motociclisti che abbiano commesso la stessa infrazione al codice della strada.

Come vedete, si tratta di argomenti di cui molto spesso si discute e che in effetti meriterebbero quantomeno un chiarimento autorevole, visto che – almeno per noi motociclisti – non sono di sicuro "manifestamente infondati".
L'avvocato De Luca si è espresso condividendo in gran parte i contrasti da noi esposti in questi casi fra legge e Costituzione, ma la sua approfondita conoscenza della Consulta lo ha indotto a metterci in guardia contro facili entusiasmi. In ogni caso i suoi pareri sono approfonditi e competenti e possono essere molto utili a chi sta preparandosi a fare un ricorso su uno dei temi proposti, oppure anche solo per chiarirsi le idee u questioni molto specifiche, ma che ci toccano come cittadini e come motociclisti.
Che valutazione si può dare della norma introdotta dalla Finanziaria 2010 che obbliga a corrispondere una tassa di minimo 30 euro (+8 di rimborso forfettario) per i ricorsi al giudice di pace? (Vedi: https://www.motonline.com/normative/articolo.cfm?codice=219187)

Avv. Valerio De Luca - Si tratta di una questione che interessa una gran mole di cause, dunque non stupisce che alcune associazioni di consumatori abbiano annunciato di voler sollevare la questione di legittimità costituzionale.
Le norme costituzionali invocabili sono gli articoli 24 (diritto di difesa) e 3 (principio di uguaglianza) della Costituzione.
Si lamenta, infatti, l'irrazionalità di un contributo unificato che, in molti casi, sarebbe anche superiore alla sanzione che si intende contestare.
Le argomentazioni che potrebbero "fare breccia" presso la Corte costituzionale partono dall'irrazionalità apparente di una norma che impone il pagamento di un tributo sproporzionato alla sanzione da contestare. Si prenda il caso di una multa elevata per divieto di sosta, in tal caso l'importo del contributo unificato coincide con quello della sanzione! Non c'è dubbio che tale provvedimento riduca quindi l'apparente convenienza a proporre una causa che in un primo momento "costa" quanto potrà offrire come massima utilità.
La natura del contributo unificato, tra l'altro, non è quella di condizione di procedibilità dell'azione o di ricevibilità degli atti, in ragione della più recente giurisprudenza della Consulta (sent. 333 del 2001) secondo la quale l'esercizio del diritto di azione non può essere condizionato al rispetto di un adempimento fiscale. Si tratta quindi di un adempimento fiscale, che si risolve in un costo per l'attore. Costo che, alla luce del testo unico sulle spese di giustizia e del codice di procedura civile, è successivamente accollato al soccombente. Insomma, lo si recupera.
Per accogliere la questione la Corte costituzionale dovrebbe quindi affermare che il solo versamento di un simile contributo unificato, sebbene esistano nell'ordinamento strumenti per disporne la refusione al termine di un processo esperito con successo, sia lesiva del diritto di difesa. Ciò appare improbabile anche alla luce di confronti con altri settori dell'ordinamento, si pensi al diritto amministrativo, nel quale si verificano situazioni simili.
Sul piano pratico le conseguenze sono invece difficilmente prevedibili. Nota è la avversione dei Giudici di Pace, anche in caso di accoglimento di simili ricorsi, a liquidare le spese secondo il principio della soccombenza. Molto più spesso si assiste a poco motivate compensazioni. Inoltre, anche alla luce degli innumerevoli ricorsi proposti, permane la convinzione che non tutti siano avanzati nella assoluta convinzione della loro fondatezza, ed anche qualora ciò fosse, nel cittadino è sempre viva l'idea brillantemente riassunta nella massima "habent sua sidera lites" (ogni controversia segue il suo fato, vale a dire che l'esito di una causa non è mai prevedibile, ndr), per cui l'effetto deflattivo che la norma si prefigge verrà conseguito.
Un ultimo dubbio: ciò si tradurrà in un proliferare di ricorsi al Prefetto (che permangono gratuiti) la cui mancata espressa risposta si traduce nell'annullamento della sanzione?
In alcune strade vigono divieti di circolazione specifici per le moto. La motivazione è che quelle strade vengono scelte da smanettoni per le loro scorribande. È giusto penalizzare anche chi vuole usare la moto nel pieno rispetto del Codice della Strada?

Avv. Valerio De Luca -
Tali divieti non sono imposti da norme primarie (leggi statali o regionali) ma da ordinanze prefettizie o sindacali, o regolamenti degli enti territoriali. Ciò comporta che la loro sindacabilità non compete alla Corte costituzionale. Solitamente, infatti, tali ordinanze trovano fondamento in previsioni legislative dall'ampia portata, che autorizzano Prefetto o Sindaco a regolare con proprio provvedimento situazioni nelle quali è compromessa la sicurezza locale.
L'unica tutela offerta è quella di fronte al Giudice Amministrativo, al quale si potrà ricorrere nei confronti di ogni singolo provvedimento, con un effetto quindi molto limitato.
Certo se non ulteriormente motivati tali provvedimenti appaiono irragionevoli, quindi annullabili. Per arginare il fenomeno occorrerebbero però una pluralità di pronunce, tali da indurre le amministrazioni a ricercare altre, e più serie vie per perseguire il fondamentale obbiettivo della sicurezza stradale.
Nelle situazioni di allarme smog le città chiudono al traffico privato, lasciando però libere di circolare le auto euro 5 e quelle alimentate a gas. Il divieto colpisce anche i motocicli Euro 3 e i ciclomotori Euro 2. Nel nostro caso si tratta di protocolli d'omologazione che prevedono livelli di emissioni superiori a quelli delle auto, ma, anche in virtù dei ridotti tempi di percorrenza, non sarebbe opportuno lasciar liberi di circolare i motociclisti? Del resto non esistono ancora moto Euro 4 o Euro 5, perché tali stadi d'evoluzione della normativa a oggi non sono stati deliberati.

Avv. Valerio De Luca - Un principio fondamentale nel nostro sistema costituzionale, sancito dall'art. 3 della Costituzione, è quello dell'uguaglianza, che trova un suo primo corollario nella ragionevolezza insita nel trattare in modo uguale situazioni uguali e in modo ragionevolmente diverso situazioni differenti.
Spesso nel dettare le regole sulla circolazione dei veicoli e la disciplina dei blocchi del traffico motivati da ragioni di inquinamento, emerge una scarsa conoscenza tecnica o sensibilità al mondo delle due ruote che gli amministratori locali hanno, dalle quali derivano norme irrazionali.
È evidente, infatti, che laddove l'omologazione più avanzata per i motocicli è quella Euro 3, la quale assicura inoltre livelli di emissioni inferiori ad omologazioni anche più elevate relative alle autovetture, considerato il minor impatto ambientale che comunque un motociclo ha rispetto ad un'autovettura, è illegittimo un provvedimento che sottoponga irrazionalmente i due veicoli alla medesima disciplina legislativa. E' pur vero che in parte tale considerazione si è fatta largo nella disciplina più recente dei blocchi del traffico. Ad esempio nelle numerose ordinanze emanate dai Sindaci del Nord Italia che hanno aderito alla piattaforma di lavoro studiata per combattere l'inquinamento atmosferico in tutta la Pianura Padana, frutto dell'incontro che si è svolto a Milano in data 19 febbraio 2010 e che ha portato all'esteso blocco del traffico di domenica 28 marzo 2010, tale differenziazione è stata inserita. Si trovavano, infatti, tra i veicoli esclusi tanto gli autoveicoli elettrici e ibridi, benzina e diesel conformi alle direttive Euro 4 ed Euro 5, a gas metano o GPL, quanto motocicli omologati Euro 2-Euro 3.
Ciò però non fa che rafforzare la convinzione che, in tutti i casi in cui simili differenziazioni non siano disposte, ci si possa trovare di fronte a provvedimenti illegittimi in quanto irragionevoli.
Nel caso in cui si commetta un'infrazione che determina il fermo amministrativo del veicolo, il guidatore di un'automobile viene nominato custode del mezzo e si riporta a casa la macchina, mentre il motociclista deve obbligatoriamente lasciar portare il suo veicolo a un deposito giudiziario per almeno un mese. In questo modo avrà delle spese aggiuntive e rischierà un forte degrado della moto (i depositi spesso sono esposti alle intemperie). La norma appare ingiustificabile.

Avv. Valerio De Luca -
Non pochi dubbi di legittimità costituzionale sorgono in relazione a quanto disposto dall'art. 213 comma 2 quinquies del Codice della Strada. Dubbi derivanti dalla differenza di trattamento tra motoveicoli e autovetture fissata in materia di sequestro del mezzo a seguito della commissione di reati tramite il suo utilizzo, che riflette in fondo la convinzione che le "due ruote" abbiano una maggior prossimità con il crimine rispetto alle quattro. Dubbi che, tuttavia, sembrano non essere stati accolti dalla Corte Costituzionale.
Con la legge 168/2005 sono state apportate una serie di modifiche al Codice della Strada, tra le quali l'introduzione dei commi 2 bis a 2 quinquies, che disciplinano tra l'altro la misura cautelare del sequestro e la sanzione accessoria della confisca amministrativa. Regole dettagliatamente esplicate nella circolare del Ministero dell'Interno N. 300 del 7 settembre 2005.
Ebbene, nel caso in cui oggetto del provvedimento del sequestro sia un'autovettura, il conducente del veicolo è immediatamente nominato custode, non dovendo così sopportare le spese della custodia. Diversamente, conformemente alle nuove disposizioni dettate dall'art 213, comma 2 quinquies, la procedura per il sequestro del ciclomotore o del motociclo, finalizzato alla confisca amministrativa dello stesso, non consente la possibilità di affidamento in custodia al conducente o al proprietario, ma si attua consegnando il veicolo a un custode convenzionato con la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo, con conseguente aggravio di spese per il conducente. Inoltre il proprietario del mezzo sequestrato, se non è già stato emesso il provvedimento di confisca, può chiederne l'affidamento in custodia decorsi 30 giorni dal sequestro, mentre tale facoltà non è concessa al proprietario di un motoveicolo diverso dal motociclo che sia stato oggetto di sequestro per violazione delle norme degli articoli 169, comma 2 e 171 C.d.S. e nei casi di reati commessi alla guida di tale mezzo.
Una più severa disciplina deve essere sorretta, per poter essere considerata costituzionalmente compatibile alla stregua dell'art. 3 della Costituzione (principio di uguaglianza), da motivazioni tali da giustificarla ed esplicitarne la razionalità. Su molti profili di questa riforma legislativa del Codice della Strada, la Corte Costituzionale è stata proprio chiamata a valutarne la compatibilità alla stregua dell'art. 3 della Costituzione, rispetto al meno severo trattamento riservato a mezzi a quattro ruote, e le conclusioni alle quali è giunta la Corte lasciano la convinzione che anche il profilo ora esaminato, qualora fosse portato alla sua attenzione, non verrebbe accolto. Infatti la Corte non ha rinvenuto in tali differenze di trattamento una disparità tale da apparire ingiustificata, avallando così la scelta del Legislatore di prevedere una disciplina più severa a seconda del mezzo con il quale il reato o il comportamento vietato si manifesta!
Si può leggere nella sentenza n. 345 del 2007, avente ad oggetto altre disposizioni dello stesso art. 213 del Codice della Strada modificato dalla legge n. 168 del 2005:
"Orbene, proprio alla stregua di una valutazione che investa, innanzitutto, la sua ragionevolezza intrinseca (e dunque la coerenza tra il contenuto della norma e la finalità perseguita attraverso la sua previsione), la disposizione in esame si presenta immune dal denunciato vizio di costituzionalità. Deve ritenersi, infatti, non irragionevole la scelta del legislatore di prevedere una più intensa risposta punitiva, allorché un reato sia commesso mediante l'uso di ciclomotori o motoveicoli, con riferimento all'adozione di una sanzione accessoria, qual è la confisca, idonea a scongiurare la reiterata utilizzazione illecita del mezzo, specie quando (come avviene proprio nel caso contemplato dall'art. 186 del codice della strada, cui si riferiscono le fattispecie oggetto dei giudizi a quibus) sussiste un rapporto di necessaria strumentalità tra l'impiego del veicolo e la consumazione del reato".
Analoghe infrazioni sono punite con sanzioni differenti in funzione della tipologia di veicolo. Vediamo alcuni esempi.
La guida del motociclo senza casco, con una sola mano, senza il libero uso di braccia e gambe, procedendo su una sola ruota, o con un carico mal assicurato, è punita con una multa da 74 a 299 euro, oltre alla sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo per 60 gg. Nel caso in cui la violazione sia reiterata in un periodo compreso entro i 2 anni, il fermo amministrativo sale a 90 gg. La guida di un autoveicolo senza indossare cinture di sicurezza è punita anch'essa con una multa da 74 a 299 euro. Solo però nel caso in cui la violazione sia reiterata in un periodo compreso entro i 2 anni, è prevista una sanzione accessoria, peraltro più morbida, la sospensione della patente da 15gg a 2 mesi. Per il carico male assicurato su un autoveicolo è prevista una multa da 74 a 299 euro, ma nessuna sanzione accessoria.

Avv. Valerio De Luca -
Possibile che la stessa violazione (pur se contravviene ad articoli diversi del Codice della Strada), come il carico mal assicurato, sia punita con una sanzione accessoria pesante nel caso dei motocicli e senza nessuna sanzione accessoria per le automobili? L'importo della multa è lo stesso in tutti e tre i casi citati, ma anche la guida senza casco viene punita con una sanzione accessoria già alla prima violazione, mentre la guida dell'auto senza cinture viene punita con sanzione accessoria solo alla seconda violazione.
La risposta si trae da quanto scritto nel quesito precedente e in quello sui limiti di circolazione per allarme smog che bloccano ogni tipologia di moto e ciclomotori lasciando invece libere di viaggiare le auto di ultima generazione. Si torna insomma a parlare della necessaria ragionevolezza delle disparità di trattamento, che debbono essere giustificate da argomenti razionali. E sembrerebbe che il diverso mezzo, a parità di comportamento, non possa essere considerato una motivazione sufficiente per introdurre una disparità di trattamento.
Tuttavia la Corte Costituzionale è sempre molto cauta nell'annullare delle leggi facendo leva "solo" sulla disparità di trattamento, riconoscendo al legislatore un ampio margine di manovra in questo contesto.
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