Attualità
Ace Cafe Reunion
Dal 10 al 12 settembre si è svolto a Londra l’undicesimo raduno del mitico locale riaperto nel 1993. Quest’anno c’era anche Motonline. Nella Gallery le foto della Reunion
Ho cominciato a coltivare concretamente l’amore per le due ruote quando avevo all’incirca tredici anni. E’ stato alla vigilia della mitica soglia oltre la quale si può finalmente guidare un ciclomotore che ho iniziato un approccio metodico al mondo delle moto, fatto di giornali sfogliati in edicola e poster coi campioni del Motomondiale.
Appena in tempo, insomma, per godermi le mitiche strisce del Joe Bar Team, con le avventure di Eduard Bracame e soci, che venivano pubblicate sull’ultima pagina di un noto mensile di settore. E’ lì che ho cominciato a metabolizzare l’idea di un bar per motociclisti, un posto attorno al quale girare a folle velocità per dimostrare di essere i più veloci, magari facendo i conti con i freni della Kawa che proprio non volevano saperne, o con un pompone che non andava.
Quando, nel 1993, ho sentito parlare della “Reunion” ero già più grandicello, e già avevo scoperto che un posto come quello descritto nelle amate strisce a colori disegnate da Christian Debarre era esistito, a Londra e col nome di Ace Cafe, anche se poi aveva chiuso i battenti alla fine degli anni Sessanta.
Naturalmente al primo storico raduno organizzato undici anni fa da Mark Wilsmore non ebbi la possibilità di andarci, ma ricordo con quanta “fame” lessi i reportage entusiastici sulle riviste che trattarono l’evento, con in testa la voglia di esserci, il cuore che mi batteva a mille e, mentre assistevo alla rinascita del mitico Cafe (seguita a quel raduno), con un’idea fissa che mi prendeva a pugni il cervello: “un giorno ci sarò!”
… Naturalmente, col passare degli anni, nonostante la passione resti immutata, cambiano le priorità e gli impegni si fanno più pressanti. Prima non c’avevo l’età, poi, c’avevo l’età ma non i soldi, poi avevo l’età, un minimo di moneta in tasca da convertire in sterline però non potevo lasciare il lavoro. Sfuggita anche (coi lacrimoni agli occhi) l’occasione di partecipare alla decima “Reunion”, nel 2003, quest’anno mi sono detto che proprio non ci avrei rinunciato: volo Low Cost, alberghetto in periferia, macchina fotografica al collo e via, verso l’undicesima edizione dell’Ace Cafe Reunion!
In effetti, da un evento che dovrebbe durare un week-end mi aspettavo qualcosa di più, soprattutto per i primi due giorni: quando ci arrivi, il venerdì pomeriggio, sembra un giorno come un altro, col solito carosello di moto che fanno avanti e dietro sulla North Circular Road e qualche turista venuto “in pellegrinaggio” per scattare una foto ed acquistare la classica T-Shirt con l’asso di fiori.
Becco Mark Wilsmore al volo dietro al bancone, mentre scarica fusti di birra: gli faccio un paio di domande e gli chiedo se domenica, per la parata che è l’evento clou della Reunion, crede che ci sarà molta gente. Lui fa qualche commento sul tempo, che è variabile (come sempre, a Londra), e che per il momento ha tenuto lontano qualcuno; poi aggiunge che tanto è venerdì, domani il piazzale sarà molto più pieno e ci sarà da divertirsi. E domenica? “Thousands of Bikes!”
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In effetti, se già dalla serata di venerdì si comincia a vedere un po’ di gente, la maggior parte dei biker fa capolino dalla mattina del sabato, complice una giornata decisamente soleggiata: arrivano da tutte le parti, persino dall’Italia o dalla Svezia, a bordo dei mezzi più improbabili.
Ragazzi in sella a vecchie BSA, vecchi a cavallo di streetfighter da paura, di serie come certe Benelli TNT o pompate come una Bandit che c’aveva pure il NOS. Certamente, la maggior parte sono inglesi: perché lo spirito dei Rockers, i “vecchi” dell’Ace Cafe, è sempre vivo e per nulla fuori luogo. Qui non stona vedere gruppi di ragazzi che scendono dalle moto e hanno il ciuffo anni Cinquanta e la fidanzata dietro con la gonna scampanata e i codini.
Si respira un’aria che sembra davvero quella di cinquant’anni fa, e sa di olio bruciato, di tubi di scappamento aperti che oggi ci sogneremmo, e di vecchie reclame dipinte sui muri in mattoni rossi che circondano l’edificio ricco di storia ed avventure che ospita l’ACE.
Il sabato mattina alle 11 parte dal Cafe una parata che porta centinaia di motociclisti in pellegrinaggio di fronte ai luoghi più importanti di Londra: una foto ricordo a Westminster, una pausa caffè a Downing Street ed un minuto di silenzio, nel pomeriggio, per ricordare le vittime dell’attentato terroristico che tre anni fa, in questa stessa data, sconvolse il mondo.
La parata rientra alla base nel primo pomeriggio, e da questo momento torna a formarsi la fila al bancone per la birra o per ordinare uno dei piatti rigorosamente non dietetici (la portata meno calorica del menu è un piatto di Chili, Cheese and Chips!) che vengono preparati nella cucina dell’Ace.
Il bel tempo cede il passo a raffiche di vento che in breve portano anche la pioggia: ogni volta, però, si tratta di scariche di pochi minuti, che svuotano il parcheggio lasciando a luccicare le moto sotto la luce gialla dei lampioni, e costringono le band che suonano dal vivo sul palco a spostarsi sul palchetto al coperto. Ma niente di preoccupante: Mark, passandomi di fianco, mi ricorda “Thousands of Bikes!”
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La domenica mattina il sole si alza tardi, ma piano piano riesce a scaldare anche il buio gelido dei cavalcavia che circondano l’Ace. Tanto che quando vi si arriva, percorrendo i passaggi obbligati per i pedoni sulla North Circular Road, costeggiati di piante ancora in fiore, sembra che sia primavera piena.
Arrivo verso le 9,00, come mi è stato raccomandato da Mark, perché da qui alle 10 partirà la parata conclusiva, quella che conduce i motociclisti sino a Brighton, ed alla quale partecipano personaggi di ogni tipo e provenienti per l’occasione da tutto il mondo. Ma alle 9 la situazione non è ancora quel casino apocalittico che mi aspettavo, tanto che comincio a sospettare che le parole di Mark di ieri fossero il frutto di una previsione eccessivamente ottimistica.
Invece, nel giro di mezz’ora il flusso di moto che giungono al piazzale si infittisce, aumenta il numero dei Marshal che regolano il traffico e dispongono ordinatamente le moto nelle zone di parcheggio, e ben presto il rumore di sottofondo si fa assordante e continuo: un frastuono che ricorda molto da vicino quello che si può sentire sulla Main Street di Daytona Beach durante la Biker Week, e in effetti, nonostante il tipo di avvenimento, ci sono anche un sacco di Harley-Davidson.
Le moto sono tante e di tutti i tipi, ma si notano soprattutto supersportive bombardate e naked, d’epoca o moderne, meglio se Triumph: molti si esibiscono in Burn Out o wheelies sulla North Circular Road, un pazzo su una Bandit gira intorno a Mark mentre questo beve tranquillo il suo cappuccio al centro del piazzale.
Alle 10 ecco un saggio della celebre precisione inglese: senza nessun avviso, senza che nessuno vada in giro a richiamare l’attenzione, senza insomma che nessuno li chiami all’ordine, quelli che nel frattempo saranno diventati tremila motociclisti, stipati nel bar o radunati nello spiazzo, oppure seduti in sella alle moto parcheggiate sino sul bordo della statale, cominciano a sistemarsi sulle loro cavalcature.
Mi guardo attorno ed in trenta secondi hanno tutti il casco in testa e stanno accendendo i motori. Altri trenta secondi, e ordinatamente (immagino una cosa del genere in Italia!...) si incolonnano lungo le direttrici indicate loro dagli ausiliari e confluiscono in un fiume umano rombante che parte dal parcheggio dell’Ace diretto a quello che viene chiamato Brighton Burn-Up.
Un quarto d’ora di rumore assordante, finché tutti i motociclisti non sono ormai partiti verso la destinazione della parata finale. In testa ancora il rombo indescrivibile di tutti questi cilindri, negli occhi il luccichio di tutti i serbatoi di alluminio che ho ammirato, nel cuore la voglia di tornarci.
Però la prossima volta ci vengo in moto!
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