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I viaggi dei lettori

Siamo andati in Sudafrica con Motonline

il 31/07/2001 in I viaggi dei lettori

Il racconto di Luca e Cinzia Sgammeglia, vincitori del nostro concorso “Amici, partenza e…via!” che su una BMW 1150 GS sono andati alla scoperta di uno dei paesi più affascinanti del mondo. L’avventura nel parco Kruger e l’incontro da panico con un licaon

Siamo andati in Sudafrica con Motonline
Un'antilope


di Luca e Cinzia Sgammeglia




Come tutte le avventure che si rispettino, tutto iniziò in una notte buia e tempestosa… mi piaceva iniziare così. In realtà tutto è iniziato una domenica piovosa di febbraio in cui mi sono iscritto al concorso di Motonline e, per portarmi avanti con il lavoro, ho fatto iscrivere Cinzia (mia moglie) oltre che alcuni amici.
Per farla breve, Cinzia e io siamo risultati i vincitori dello splendido viaggio in Sudafrica ed eccoci qua, a raccontarvi il nostro giro.

Partenza da Johannesburg, visita al parco Kruger (uno dei 3 parchi naturali più vecchi dell’Africa), attraversamento dello Swaziland, tappa sul lago St. Lucia, sosta nel cuore della regione abitata dal popolo Zulu a Shakaland e arrivo sulla costa verso Durban dove abbiamo terminato la nostra avventura.




Dobbiamo dire che abbiamo trovato un posto molto interessante dal punto di vista ambientale, dove però le tensioni lasciate dall’apartheid sono estremamente palpabili e dove la differenza tra la popolazione bianca e quella di colore salta forse più all’occhio che altrove.




Ad essere sinceri però, abbiamo incontrato sempre persone molto cordiali, a dispetto di quanto letto su guide e depliant vari. A proposito di questo, abbiamo constatato che buona parte degli europei si è fatta un’idea del Sudafrica errata e distorta. La criminalità è limitata ad alcuni quartieri delle grandi città (certamente non più elevata di quella che si può trovare nei grandi centri americani), il traffico è quasi inesistente (chi vi pone il paragone è un Milanese stordito dal traffico caotico delle nostre tangenziali e statali) e, cosa sorprendente, estremamente corretto (se raggiungete un veicolo che vi precede lungo una strada a singola corsia, questo si sposterà sulla corsia di emergenza per darvi strada, senza il bisogno di lampeggiare e l’unico cenno che dovrete fare sarà quello di ringraziare dando un paio di lampeggi con le 4 frecce), la maggioranza delle strade è perfettamente asfaltata (spesso molto meglio di certe nostre statali) e percorrere in moto le strade che ondeggiano tra le colline e le montagne è esattamente quanto il bravo motociclista si aspetta.






Dopo un tranquillo e comodo viaggio, siamo arrivati verso le 8 del mattino a Johannesburg dove abbiamo trovato ad aspettarci il simpatico Dirk con la moto pronta sul carrello del suo fuoristrada. Il tempo di riempire le borse della BMW 1150 GS e consultare la cartina per orientarci tra le autostrade che circondano Johannesburg e siamo partiti alla volta del Kruger Gate, nella regione Mpumalanga, la parte Nord-est, dove avremmo pernottato per 2 notti ed effettuato la visita al parco Kruger.

La prima parte del viaggio è stata un po’ monotona e disturbata da un forte vento, ma appena arrivati in prossimità delle prime montagne, il panorama è migliorato notevolmente, così come il tempo (la temperatura si è alzata e il vento è calato). Immersi nel verde abbiamo raggiunto all’imbrunire la nostra prima meta, lo splendido Hotel Kruger Gate, dopo “soli” 513 Km.
Immerso nel verde all’ingresso del parco e costruito per la maggior parte in legno, ci è parsa la materializzazione di un sogno che ci ha fatto dimenticare la stanchezza, per la verità neanche tanto avvertita, del viaggio.
Dopo un’ottima cena a lume di candela nel giardino dell’Hotel attorno ad un falò e dopo un mancato incontro con un leopardo che a quanto pare cercava anche lui un posto all’interno dell’albergo, ci siamo preparati per la giornata successiva all’interno del parco.
Noleggiata un’auto (ebbene sì, ma all’interno del parco Kruger è obbligatorio circolare in veicoli chiusi e la moto non rientra certo in questa categoria), abbiamo girato il parco tra strade sterrate, animali vari liberi di circolare e scorci degni dei migliori documentari.

Dopo aver girovagato una giornata intera per oltre 200 Km all’interno del parco (che purtroppo abbiamo visto solo in minima parte perchè grande quanto il Veneto), siamo tornati alla base pronti per risalire sulla moto alla volta di Mbabane, nello Swaziland. Partiti verso le 10 dopo una buona colazione, abbiamo fatto rotta verso le montagne che dividono il Sudafrica dallo Swaziland e imboccato uno sterrato della modica lunghezza di circa 60 Km, abbiamo goduto di un panorama splendido, immersi in boschi enormi lontani da ogni forma di vita… tranne che il licaone che ha attentato all’integrità del mio stivale sinistro proprio negli unici 200 m di strada con venti centimetri di fango argilloso dove mi sembrava di essere una pattinatrice sbronza. Il problema è stato risolto con un’accelerata che ha fatto desistere l’animale dall’inseguire il solito stivale che ormai era quasi tra le sue fauci (subito dopo sia io che Cinzia abbiamo avuto una visione: noi, sdraiati nel fango con sopra la moto e con il licaone che assaggiava appassionatamente i nostri stivali).




Superati questi venti secondi di panico, il viaggio è proseguito fino al confine, dove abbiamo trovato delle capanne di legno con una sbarra azionata a mano stile posto di confine messicano nei film western (però la capanna Sudafricana era informatizzata a tal punto che hanno registrato il nostro passaggio tramite un lettore a barre collegato a un PC che ha letto il visto di ingresso posto sul nostro passaporto all’aeroporto di Johannesburg).

Arrivati finalmente su una statale asfaltata (non che lo sterrato sia brutto, ma dopo oltre 60 Km percorsi con una moto da oltre 250 Kg, due persone con bagaglio al seguito, è lecito accusare i primi segni di stanchezza), abbiamo percorso gli ultimi Km fino a Mbabane, all’imbocco della Ezulwini Valley, la valle reale dello Swaziland.
All’indomani abbiamo proseguito l’attraversamento di questo stato, a dire la verità ancora più povero del Sudafrica ma altrettanto interessante dal punto di vista paesaggistico.

Rientrati in Sudafrica dopo aver attraversato un posto di confine sullo stesso stile del precedente, abbiamo percorso delle strade fantastiche, ricche di curve e povere (per non dire prive) di traffico, praticamente il paradiso del motociclista. Imboccata la statale N2, facendo attenzione a schivare i gruppi di piccoli macachi che ci attraversavano la strada, siamo arrivati a Hluhluwe allo Hluhluwe River Lodge, un albergo paradisiaco composto da 12 chalet in vicinanza del lago Santa Lucia, all’interno del parco che prende il nome dal lago.

Dopo aver cenato anche qui nel giardino all’aperto attorno ad un falò con l’immancabile candela sul tavolo, il mattino seguente ci siamo alzati all’alba (nel vero senso della parola) e alle 6 e 30 eravamo già in barca ad ammirare le meraviglie della natura che questo angolo d’Africa riserva. Qui ho quasi avuto voglia di piangere quando una signora inglese che partecipava alla gita ha chiesto a Brad, il nostro accompagnatore, se non sentisse la mancanza di una grande città e di un lavoro “normale”. La risposta, dopo uno sguardo allo splendido panorama e a un gruppo di ippopotami che stazionavano in acqua ad una trentina di metri da noi, è stata: cosa posso volere di più, questo è il mio ufficio, io lavoro qui. Non aggiungo altro, ognuno faccia il commento che meglio crede.

Una volta ritornati sulla terraferma, abbiamo proseguito il viaggio verso Shakaland, zona del Kwazulu Natal (la nazione Zulu) dove è nato Shaka, il più grande condottiero del popolo Zulu. Qui, attraversando piantagioni di canna da zucchero, tra giraffe che passeggiavano ai bordi delle strade, abbiamo raggiunto il nostro hotel e con immensa sorpresa, ci siamo trovati in un villaggio Zulu, con camere fatte come capanne ma dotate di tutti i comfort a cui siamo abituati. Tra le “camere”, circolavano caprette, galline, buoi e bipedi in vacanza. Annessa all’albergo c’era la riproduzione di un villaggio. Nel corso di un giro organizzato, veniva illustrata la vita all’interno del villaggio, con usi e costumi tipici del popolo Zulu.




La mattina seguente, dopo aver completato la visita al villaggio, siamo ripartiti verso Umhlanga Rocks, cittadina di villeggiatura sulla costa dove i sudafricani (bianchi) trascorrono le loro vacanze. Con nostro stupore, abbiamo trovato un’enorme quantità di indiani (dell’India, non americani) e dopo esserci documentati (letto la guida), abbiamo scoperto che dopo la metà del 1800, arrivarono molti indiani per lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero e tra loro anche Mohandas Gandhi. Ad essere sinceri, arrivare in un luogo turistico per bianchi dopo essere stati per 6 giorni in alberghi all’interno di parchi, aver percorso strade semi-deserte in mezzo a luoghi molto diversi da quelli per noi soliti, lontani da ogni grosso centro urbano, è stato come uscire da un sogno e rimettere i piedi nella “civiltà”.

Non che Umhlanga Rocks sia un brutto posto, ma semplicemente è molto diverso da quanto visto per tutta la settimana. E così, siamo arrivati al termine del nostro viaggio. Il mattino seguente, entrati a Durban, abbiamo riconsegnato la moto e abbiamo iniziato il viaggio di riavvicinamento alla nostra casetta di Milano.






Come conclusione, devo dire che ci siamo divertiti moltissimo, abbiamo visto posti che probabilmente non avremmo mai visitato e che ora ci piacerebbe tornare a visitare. Siamo perfettamente d’accordo con Eligio Arturi di Mototouring, l’agenzia viaggi che ha organizzato la nostra gita (una menzione particolare per la splendida scelta degli alberghi), che prima di partire ha definito il Sudafrica “un’Africa addomesticata”. Le vie di comunicazione sono in buono stato e ben percorribili, non è difficile trovare un posto di rifornimento o un aiuto in caso di necessità.




Per terminare, un grazie di cuore a Motonline.com, che ci ha permesso di vivere questa splendida ed emozionante avventura.




Abbiamo portato con noi il moschino Ugo che ha svolazzato con molto entusiasmo lungo nuove strade!

A special thanks to mr. Dirk du Plooy (Superbike Schools and Safaris) and mr. Vernon Perry (Perry Yamaha) for their extreme kindness.
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