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In moto nella terra dei fiumi

di Riccardo Matesic il 09/06/2014 in Francia

Nel sud-ovest della Francia due grandi fiumi navigabili, Lot e Dordogne, dipingono paesaggi incantevoli, snodandosi fra alte falesie e boschi. Intorno, una serie di borghi medievali e di porti fluviali. L'ideale per una vacanza a due ruote

In moto nella terra dei fiumi
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La Suzuki Gladius con le borse da viaggio è pronta. Sullo zaino da serbatoio c'è il road book con l'itinerario, è una domenica mattina d'inizio maggio a Clermont-Ferrand, c'è il sole e io e Lannina abbiamo già i caschi allacciati. Si parte!
Per i nostri 6 giorni di libertà abbiamo deciso di visitare la famosa (in Francia) Dordogne, nel sud-ovest della Francia. Si tratta di un dipartimento (leggi provincia) che prende il nome da un grande fiume che nasce sui monti a pochi chilometri da Clermont. La Dordogne è nella regione dell'Aquitania, ma noi abbiamo "puntato" anche il vicino dipartimento del Lot, dal nome di un altro grande fiume francese, che però è nella regione attigua del Midi-Pyrénées.
Insomma, non abbiamo le idee chiarissime su dove andremo. Per ora abbiamo prenotato due notti vicino Gramat, a pochi chilometri dalla tanto decantata Rocamadour. Su Internet abbiamo cercato "Alberghi insoliti", ed abbiamo opzionato una notte in una comoda roulotte e una in una capanna su un albero, a cinque metri da terra.
Per arrivare in zona ci sarebbe una comoda autostrada, ma perderemmo il bello del viaggio. Meglio uscire da Clermont e inerpicarsi in salita verso le piste da sci di Besse e Superbesse.
La nostra prima meta è il lago Pavin, che i locali dicono essere particolarmente bello. È quello più in quota della zona, e d'inverno ghiaccia.
Percorriamo strade strette, a volte sembrano viottoli interpoderali, ma le indicazioni, ci sono quasi sempre. Attraversiamo un altipiano a 1200 metri, intorno fa la sua comparsa la neve, e c'è un forte vento gelido. Quando arriviamo al Pavin, scopriamo un "giovane" lago vulcanico, incastonato dentro un cono completamente ricoperto di foresta. Le acque sono azzurrissime. Viene voglia di assaggiarle.
Giù, sulla riva, il freddo è molto attenuato dall'assenza del vento. Ma ci aspettano 270 chilometri di strada e, soprattutto, fa più freddo del previsto. Eccoci allora sulla strada che percorre l'altipiano, con un buon asfalto e ampi curvoni dalla buona visibilità. Nei campi, intorno a noi, ci sono grossi blocchi di neve, e acqua che scorre e luccica con il sole. È il disgelo invernale, un inno alla vita.
Mano a mano che scendiamo, ricominciano le foreste, e in mezzo, qua e là, piccole fattorie dedite all'allevamento di manzi, che pascolano liberi sulle colline.
Sulla Dordogne ci riaffacciamo all'improvviso, quando una curva in cima alla falesia ci apre un panorama inaspettato. Sotto di noi chilometri di foresta fitta, tagliata in due da questo grande fiume, che disegna ampie curve.
Quando sbuchiamo ad Argentat è il tramonto, e sebbene sia tardi ci fermiamo per ammirare la città tagliata in due dal fiume. Da una parte una riva di case e villette, dall'altra una banchina piena di locali, con i tavoli all'aperto.
Un'ora dopo prendiamo possesso della nostra roulotte, e scappiamo di volata in città per la cena. Alle 21.30 però in Francia è difficile trovare un ristorante aperto, e non ci resta che un kebab.
Il giorno dopo, al nostro risveglio scopriamo di aver dormito in un carro da zingari riadattato. C'è tutto: cucina, divano, letto, bagno con acqua calda e fredda, doccia, microonde e riscaldamento Fuori, sulla porta, un cesto di vimini con una ricca colazione!
Iniziamo il nostro giro turistico scendendo a sud, verso Figeac, bellissima città medievale sul Lot. Da qui iniziamo a scorrere con la strada lungo il fiume, colpiti da quanto spesso il paesaggio riesca a stupirci.
La magia arriva a a St. Cirq Lapopie, eletto villaggio preferito dei francesi. Arrampicato su una falesia, è a strapiombo sul Lot. Dentro si gira solo a piedi. Prendiamo qualcosa da bere in un originale giardino da te di un'artista che espone i suoi quadri, quindi ci fermiamo ad ammirare dall'alto il passaggio di un battello fluviale in una chiusa, quell'ingegnoso sistemo per rendere navigabili i fiumi anche in presenza di rapide e forti dislivelli.
Per cena siamo attesi dai proprietari della fattoria che ci ospita. Ci ritroviamo a tavola insieme a dei loro amici francesi e svizzeri. Pellegrini che passano di qui nel loro cammino in direzione di Compostela, in Spagna.
Si mangia bene, si beve del buon vino rosso locale, e, come sempre, è gradevole il confronto di esperienze fra persone diverse. Solo al momento di salutarci scoprirò di aver cenato insieme a una ex gloria svizzera dello slalom speciale, io che di sci non so nulla.
Rientriamo nella capanna sull'albero. C'è vento. In lontananza ci sono dei temporali, ci addormentiamo mentre scricchiola tutto, e non ci accorgiamo che il vento ci spalanca la porta. Una bella sorpresa per il mattino, quando la luce ci sveglia alle 6.15, con il canto degli uccellini e l'odore forte delle fronde dell'albero. Eccezionale.
La giornata però si annuncia piovosa. Così prendiamo gli antipioggia e andiamo alle grotte di Pech Merle, dove ci sono pitture rupestri risalenti a 25.000 anni fa.
La visita dura un'ora circa, e colpisce la qualità dei dipinti. Lasciano addirittura di sasso le impronte delle mani, e le orme di un ragazzo rimaste intatte nel fango. Ci sono molti scheletri, di uomini e di animali. La nostra guida per un attimo spegne le luci e proviamo l'esperienza del buio pesto e del silenzio di tomba.
Così, su tutto, resta una domanda senza risposta: perché queste pitture in un posto così difficilmente raggiungibile? E cosa significano quei simboli che tanto somigliano ad altri analoghi trovati in altre grotte a decine di chilometri di distanza? Gli esperti dicono che la similitudine è casuale, ma se volete approfondire, in questa zona sono diversi gli insediamenti trogloditici ben conservati.
Noi piuttosto scegliamo un'archeologia industriale più recente, la linea ferroviaria dismessa che tante volte abbiamo incrociato a lato della strada. E' la Cahors-Capdenac. Inaugurata nel 1886, fu chiusa al traffico viaggiatori nel 1980, e al traffico merci nel 1989. Dal '93 al 2003 è stata percorsa da un treno turistico, poi, il 9 giugno 2011 è stata ufficialmente abbandonata, perché in cattivo stato.
Noi, incuriositi per aver visto le stazioni e i passaggi a livello trasformati in case (con il marciapiede e i binari ancora davanti!) ci siamo concessi una passeggiata su un ponte in ferro che scavalca il Lot. Perché emanano un fascino particolare le linee ferroviarie abbandonate.
Pioviggina, e per la cena ci rechiamo a Cahors, la cui attrazione principale è il ponte medievale, enorme, con le torri dei corpi di guardia. Distrutto in varie occasioni, è stato ricostruito. Ai suoi lati, il sentiero lungofiume, bordato di case d'epoca, con i loro giardini. L'atmosfera è di grande pace, come la ragazza che dipinge, seduta su un sasso a un metro dall'acqua.
Siamo in pace con il mondo, e lo restiamo anche quando affrontiamo i 70 chilometri sotto la pioggia che ci separano dalla nostra roulotte (si, abbiamo confermato una terza notte). La strada corre nei boschi, e solo ogni tanto si attraversano piccoli centri abitati, tutti completamente al buio. In tutto il tragitto incroceremo 7 automobili.
Dopo i temporali notturni, il mattino del 3° giorno si annuncia di nuovo soleggiato. Siamo pronti per Rocamadour, il borgo storico più famoso di questa zona del Perigord.
Arrampicata su una falesia che domina l'Alzou, uno dei tanti corsi d'acqua della regione, Rocamadour è visitabile solo a piedi. Sopra, sulla rocca, c'è un castello, oggi trasformato in hotel, dalle cui mura si fatica ad affacciarsi: il camminamento penzola su uno strapiombo di 150 metri.
Più in basso il Santuario, ancora oggi meta di pellegrinaggio, e il vero e proprio borgo, molto grazioso; ma un po' rovinato dalle botteghe di marca.
Avremmo altre visite in programma, ma passeremo il pomeriggio nell'ufficio turistico, con l'Ipad messoci a disposizione per trovare l'hotel dove dormire.
"Questo ha le porte verdi e io le volevo bianche. Questo ha di fronte una collina e io volevo una valle. Ma hai visto che brutti arredi hanno le camere di quest'altro? E se rivedessimo il primo?".
Lannina è incontentabile, ma a un certo punto del pomeriggio, fortunatamente, la batteria dell'Ipad ha alzato bandiera bianca. Io per conto mio era già da un po' che giudicavo perfetto qualunque albergo mi venisse proposto. Eppure, al di là della mia facile ironia, debbo ammettere che Lannina ha centrato il colpaccio. Da non ritentare, perché sicuramente ora ci sarà una sua foto segnaletica sui banconi di tutti gli uffici turistici della zona.
Comunque, nel tardo pomeriggio approdiamo al Prieuré, il priorato, a Souillac. Un vecchio piccolo convento, acquistato per caso da una famiglia di olandesi e convertito in albergo a conduzione familiare. Ci danno un'ampia stanza nel sottotetto, e ci lasciano a bocca aperta quando ci fanno visitare la cappella, che fino a pochi anni fa è stata la chiesa del borgo.
Ci sono ancora tutte le decorazioni e i quadri. Di inaspettato solo due poltrone di fronte all'altare, un impianto stereofonico, e una collezione di di musica classica e sacra; a uso degli ospiti.
A Souillac ci concediamo una cena in un ristorantino in una vecchia piazzetta. Non ci sono auto, solo le rondini che si rincorrono e zinzulano. C'è anche un tizio che si allena a fare parkour, quel pericoloso sport che prevede salti da un palazzo all'altro. Visibilmente palestrato, è vestito di nero in calzamaglia e canottiera. Salta ringhiere e muretti, si lancia addosso ai muri come un ossesso. Indubbiamente è bravino, ma se voleva fare colpo, a giudicare dallo sguardo di compatimento lanciatogli dalla nostra giovane cameriera, può continuare ad allenarsi tranquillo.
Il nostro ultimo giorno di vacanza ci porta nella vicina Domme, che domina la Dordogne dall'alto. Sulla guida ha 2 stelle, e in effetti merita. Anche se somiglia più a un villaggio inglese del Cotswall che non a un borgo francese. Non ci strappiamo i capelli, ma mangiamo una buona Galette (una sorta di crêpe salata fatta con grano saraceno) cucinata da una anziana coppia di ambulanti in furgone.
Nel pomeriggio ci concediamo finalmente la discesa della Dordogne in canoa. Scegliamo il percorso intermedio da 14 km, e ci lasciamo portare alla base di partenza su un vecchio furgone scassato. Il tizio che guida lavorava in città una volta. Poi ha preferito una vita meno frenetica, ed è tornato nella casa di famiglia, sul fiume. Conosce i calendari delle festività di tutti i paesi europei, ed è già con la testa sulla fine del mese e su giugno, quando ci saranno le vacanze di olandesi e tedeschi.
Un po' rimbambiti dal rumore del vecchio furgone e dalle sue chiacchiere, saltiamo in canoa e... piombiamo nel silenzio! Solo il rumore dolce della pagaia. E i versi degli uccelli. Lambiamo un primo centro abitato, La-Roque-Gageac, e ci gustiamo la prospettiva diversa. Quando costeggiamo la strada se ne percepisce il rumore a volte, ma le voci delle persone sul lungofiume no. E poi, in pochi minuti, la nostra canoa scorre oltre, e si rituffa nei boschi.
La giornata volge al termine, in serata siamo a Sarlat-la-Caneda, la città antica più famosa, quella da non mancare. Bella, indubbiamente. Ma a Lannina ricorda molto la croata Hvar, che a sua volta ricorda Venezia. Iniziamo a pensare che il Lot sia migliore della (pur bellissima) Dordogne.

Siamo all'alba dell'ultimo giorno. Piove, e dobbiamo rientrare. Prima però raggiungiamo la vicina Martel, dove ci aspetta un treno d'epoca a vapore, che percorre una ferrovia dismessa da molti anni. 13 chilometri di binari su uno strapiombo di 80 metri sul fiume, fra gallerie (dalle quali si esce neri di fuliggine) e ponti.
Mi sento un bambino felice mentre guardo da vicino i macchinisti che lavorano. E che potenza la locomotiva in salita, mentre ci tira a... 25 km/h!
Ora è proprio finita. No, anzi no. Ci fermiamo a pranzo a Beaulieu sur Dordogne, che poi visitiamo su consiglio del nostro ristoratore. Il paesaggio del vecchio porto fluviale è un po' più che incantevole, con le case che si specchiano nelle acque apparentemente ferme del fiume. Una cartolina.
Ok, si deve rientrare. Davanti a noi 250 km di strade molto belle. Il cielo è nuvoloso, fa freddo, ma non piove più. Forza con il parco giochi di curve, larghe e strette.
A sera siamo a Clermont Ferrand, e festeggiamo i 1200 km percorsi in 5 giorni con una flammekushe (una sorta di pizza fatta senza lievito) in uno dei nostri ristoranti preferiti, i Trois Brasseurs. Domattina alle 5.40 io ho la partenza fissata per rientrare in Italia.
Ci vediamo presto!


Le mappe dei viaggi

Il viaggio di trasferimento, da Clermont-Ferrand a Gramat

Lungo il Lot, da Gramat a Cahors

Lungo la Dordogne, da Rocamadour a Souillac
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