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Dall'Italia al Sud Africa: quinta tappa

di Anna & Fabio il 28/07/2010 in Africa

Sorpresi da una tempesta di sabbia, infine stremati dopo 1500 km di sabbia e pietre, finalmente i nostri viaggiatori raggiungono la frontiera russa

Dall'Italia al Sud Africa: quinta tappa
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Prima della sosta di Altay, i nostri amici olandesi ci hanno detto che la pista sarebbe migliorata, ma non sembra così: i 200 km verso Darvi si dividono in due parti, la prima facile ma piena di ondulazioni e la seconda più stretta e sabbiosa.
Abbiamo una bella scorta di benzina, ma non è facile reintegrarla: occorre pagare in anticipo calcolando esattamente quanta ne serve, così difficilmente ho il pieno e devo stare sempre attento all'autonomia.
Dopo la caduta la caviglia fa molto male, e uso il cambio come se fosse a bilanciere, scalando con il tallone, ma le vere difficoltà arrivano se devo mettere il piede a terra, magari all'improvviso.
Non ci sono né paesi ne centri abitati, però milioni di mosche ci assalgono ogni volta che ci fermiamo, e rimangono pervicacemente attaccate alla moto, raggruppandosi sul parabrezza e resistendo al vento. Sulla carte sono indicate località che contano non più di tre o quattro gher e in cui non si trova nemmeno l'acqua.
Verso sera arriviamo a Darvi, ci infiliamo nel negozietto e comperiamo quello che c'è: un pacchetto di sottilette e una tavoletta di cioccolata, che ha l'aria di essere lì da un pezzo. Facciamo conoscenza con l'intero paese e proseguiamo per una ventina di km in direzione di Hovd alla ricerca di un posto dove campeggiare: lo troviamo lungo una pista laterale, su un bel poggio, con la pista principale che scorre sotto di noi. Di fronte c'è, in bella vista, il ghiacciaio del Suray Uul, a più di 4000 metri di quota.
Mentre montiamo la tenda arriva un pastore motociclista che cerca di raccontarci qualcosa che non capiamo: poco male, al massimo ci toccherà di passare la serata con lui e le sue capre. Appena apparecchiati per la notte arrivano due fuoristrada polacchi: facciamo quattro chiacchiere, ma nel frattempo torna il pastore e comincia a indicare qualcosa dietro di noi e farci segno di coprirci la faccia. Ci giriamo verso la vallata e vediamo una nuvola che si avvicina compatta e rasente al terreno. Improvvisamente capiamo: una tempesta di sabbia!
Non c'è tempo per andarsene: i polacchi si involano senza neppure salutare, io infilo quello che trovo nei condotti di aspirazione della moto e invitiamo i pastori a rifugiarsi in tenda con noi. Non accettano: restano fuori a controllare i picchetti e a chiuderci bene le cerniere e poi scompaiono.
E noi restiamo lì, con un paio di dubbi: il primo è se la tenda resisterà, visto che non è montata nella giusta direzione, il secondo è quanto duri una tempesta di sabbia… Fra le piaghe d'Egitto c'è una tempesta durata 40 giorni, speriamo che questa duri meno! Cerchiamo di contribuire alla resistenza delle tenda appoggiandoci alla parete, e io ostento sicurezza mangiando del pesce in scatola mentre si riempie della sabbia che entra dappertutto; contiamo i minuti, i quarti d'ora, le mezz'ore e le ore.
Finisce dopo due ore e un quarto: tantissimo.
Poi comincia a piovere, ma ormai siamo rilassati e dormiamo quasi bene. La mattina levo gli stracci dai condotti d'aspirazione e la moto parte senza il minimo problema: gran mezzo!
Proseguiamo verso Zereg su una pista non male, poi ne imbocchiamo una secondaria, piena di carcasse di animali, che non mettono certo di buon umore; quando ritorniamo su quella principale è troppo rovinata per percorrerla, così ci mettiamo su quelle laterali che però sono coperte di sabbia molle.
Difficile guidare una moto carica e soprattutto con un piede solo: non ci insabbiamo mai, ma corriamo spesso il rischio.
A 50 km da Hovd Anna comincia a risentire della fatica: facciamo una breve sosta e poi cerco di accelerare l'andatura. Sono fortunato: la pista diventa di nuovo tortuosa e meno rovinata dai camion, e in poco più di un'ora arriviamo a Hovd, la solita triste cittadina Mongola che almeno ha un albergo ragionevole, quattro km di asfalto e un supermercato discretamente fornito di pane, latte e scatolame.
Decidiamo per una sosta che ci rimetta in sesto: dormiamo praticamente tutto il giorno successivo, così quando partiamo per Olgiy siamo un poco più in forma.
Dall'Italia al Sud Africa: quinta tappa
180 km, arriviamo nel primo pomeriggio: ormai siamo in mezzo ai monti Altay. Qui sono tutti Kazaki, quelli che allevano le aquile per la caccia, e alle mosche si sono sostituti nugoli di zanzare.
L'albergo è molto malconcio ma costa pochissimo, l'unico problema sono le feste che si scatenano fra gli ospiti a qualunque ora del giorno (e della notte) a base di canti a vodka. Ce ne tocca una in nottata: comincia verso le 11 e prosegue fino a che i partecipanti riescono a cantare. Nessuno si lamenta, perciò anche noi facciamo finta di niente. Facciamo anche un salto al solito "mercato dei container", che si trova in ogni paese di ragionevole dimensione. Tutte le botteghe trovano posto in container finiti qui chissà come e che nessuno pare abbia voglia di restituire ai legittimi proprietari.
In questo c'è anche un'area biliardo, con decine di tavoli "messi in bolla con l'aiuto dei più disparati spessori: sassi, catini mucchietti di terra, e ci sono centinaia di uomini che giocano uno strano mix di poker-biliardo, tenendo in mano un mazzo di carte da gioco.
La mattina dopo è quella dell'ultimo giorno in Mongolia. Il panorama è incredibile: superiamo una serie infinita di passi fino a quasi 3000 metri, affrontiamo una decina di guadi, meno impegnativi di quanto ci avevano anticipato, e arriviamo in vista della frontiera verso le tre.
Facile uscire dalla Mongolia, più laborioso entrare in Russia. Ma non c'è nulla di troppo fastidioso di fronte a un bell'asfalto liscio e ben tenuto, dopo 1500 km di sassi e sabbia. Rigonfio bene le gomme e ci avviamo verso il primo paese. Strada facendo ci aggreghiamo a un motociclista olandese e cerchiamo da dormire in un albergo talmente malconcio che più di una volta valutiamo l'ipotesi di campeggiare: ma minaccia pioggia, e così accettiamo di dormire in una stanza da 4 per ridurre la spesa, con bagno in una capanna di legno in mezzo alla steppa.
Ortolyk è una specie di villaggio da far west: crollanti case di legno lungo lo stradone, fango e in giro solo ubriachi che, scoperto che siamo turisti, ci si attaccano come mosche. Unica luce, un bidone dato alle fiamme davanti alla bottega che vende alcoolici.
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