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Dall'Italia al Sud Africa: quarta tappa

di Anna & Fabio il 19/07/2010 in Africa

Da Ulaan Baatar la strada si fa più difficile: pista in condizioni sempre peggiori e una caduta. Ma il viaggio continua!

Dall'Italia al Sud Africa: quarta tappa
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E' ora di lasciare Ulaan Baatar. La città ha il suo bel traffico, del resto metà della popolazione della Mongolia vive qui, e l'altra metà ogni tanto ci deve venire.
I primi 200 km sono come previsto: asfalto discreto, paesaggi grandiosi. Facciamo una lunga deviazione per raggiungere il tempio di Harhorin e passiamo la notte in un gher camp. La mattina assistiamo alla cerimonia che si svolge al tempio, poi torniamo sulla strada principale in direzione di Arvaiheer.
La moto si comporta benissimo, ma sono in pochi (forse nessuno) ad aver percorso questa pista in due su una moto; lungo la strada, un paio di interruzioni per lavori ci danno il primo assaggio di pista. Non sembra difficile, ma questo tratto ci offre l'occasione per una serie di incontri: prima due tedeschi giovani che paiono usciti dal tritacarne, poi uno più attempato, più dignitoso, che si limita a dire che si sente fortunato, che è caduto solo una decina di volte e solo in un caso pericolosamente.
In tutti i casi, ci raccomandano di essere molto prudenti e di non pensare di poter percorrere più di 200 km al giorno; anche in quel caso, consigliano di prevedere almeno 11/12 ore di guida.
Verso sera incontriamo il più provato ed eroico di tutti. Tedesco, solo e su una Suzuki SV: sembra Lawrence dopo l'attraversamento del Sinai, ha l'aspetto "scrostato" e vuole a tutti i costi sapere in quante ore si arriva a Ulaan Baatar. Gli diciamo che ci vogliono circa otto ore, e lui parte come se le volesse fare tutte ora. Non lo sa, ma ci ha tirato su di morale: se ce la fa una SV, noi ce la dobbiamo fare!
Facciamo tappa per la notte ad Arvaiheer: domani ci aspettano 206 km. Ci siamo muniti di una cartina edita a cura del governo locale, molto precisa e con i nomi "comuni" delle località: unica accortezza è farseli translitterare in cirillico, perché i mongoli non capiscono la nostra pronuncia e neppure il nostro alfabeto. Così, invece, basta far vedere il foglietto… ammesso che ci sia qualcuno a cui farlo vedere!
La pista indicata dal navigatore, invece, è spesso fuori rotta, così adottiamo la tattica di "copiare" il percorso della mappa sul navigatore; comunque, dopo gli ultimi 40 km di asfalto ecco finalmente la pista: appena due km, e diventa una ridda di direzioni diverse. Per buona abitudine cerchiamo di stare su quella centrale che è anche quella più rovinata: il fondo, però, è abbastanza duro e possiamo procedere a circa 40 all'ora, tutto sommato m'aspettavo peggio.
Il carico è tanto ma la moto è perfetta; procediamo per una settantina di km e ci accorgiamo che ci siamo persi, la pista su cui siamo sta girando verso sud e non dovrebbe. Torniamo indietro per 25 km. Individuiamo il punto in cui abbiamo sbagliato e ricominciamo; prima di sera ci perdiamo solo un'altra volta ma siamo più fortunati, la pista sbagliata in questo caso cambia direzione quasi subito.
Raggiungiamo Bayanhongor dopo aver percorso 280 km invece di 206, io mi sento bravissimo (pure troppo). Compriamo un po' di provviste: domani dovremo dormire nel deserto: il paese più vicino è a 400 km.
La mattina partiamo presto: la temperatura è gradevole e si viaggia bene, la pista si fa stretta e tortuosa tanto da farci credere di averne presa una secondaria. Il navigatore, però, ci rassicura: stiamo seguendo esattamente la carta geografica. Verso mezzogiorno siamo a Bombogor: il nostro arrivo richiama metà della popolazione in piazza (in tutto saranno cento ma una cinquantina sono li a vederci); poi proseguiamo verso Buutsagan a circa 80 km, dove abbiamo deciso di dormire.
Mi concedo anche qualche puntata sui 60/70 all'ora: il segreto è correre sul mucchio di sabbia che si forma fra i solchi lasciati dai camion, raggiunta una certa velocità la moto ha un'inerzia sufficiente per andare dritta anche sulle irregolarità. Quasi sempre: una volta perdo la ruota davanti e facciamo un discreto volo, nulla di grave ma mi provoco una distorsione alla caviglia, che mi riporta ad una guida più prudente.
Dopo aver assistito al più bel tramonto del mondo, il giorno successivo cominciamo malissimo: per fare i primi 100 km impieghiamo quasi 7 ore. C'è tutto il repertorio: buche enormi, ondulazioni lasciate dai camion, lunghi tratti di sabbia molle identici ai tratti solidi, in più la pista è stretta e corre sul fianco della collina. Finalmente arriviamo in pianura e facciamo una cinquantina di km su fondo piuttosto regolare, fino a Delgher e poi per qualche altro km. Poi si ricomincia.
Arriviamo ad Altay distrutti. Per fortuna facciamo conoscenza con due olandesi che viaggiano in direzione opposta e ci danno notizie abbastanza rassicuranti: un giorno di pista brutta e poi migliora.
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