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Parigi-Dakar: le moto protagoniste

il 21/01/2001 in Altri sport

Parigi-Dakar: le moto protagoniste
Questa corsa non richiede impianti potentissimi. Peculiare l’accoppiamento pinza flottante/disco flottante






L'alternativa alla KTM LC4 in questa Dakar era la bicilindrica BMW GS 1150, portata in gara da Roma, Lewis, Deacon e Despres. Bellissima, con un rombo che è vera musica, è una moto evocativa delle bicilindriche che hanno vinto ai tempi di Auriol e Rahier.
Si è dimostrata, come nelle aspettative, un mezzo molto veloce e potente, ma in grado di esprimere il suo potenziale solo nelle tappe più veloci, ed il solo Roma è stato in grado di gestirla con efficacia anche nelle più tortuose e tecniche speciali marocchine.
Rimane evidentemente una moto molto impegnativa da guidare e da portare al limite, ma è una scultura tecnologica affascinante. Ed un'arma.




Il bicilindrico di Monaco di Baviera risponde alla sigla R 900 RR, che è l'identificativo della sua cilindrata (900cc permettono di trovare nel regolamento il miglior rapporto peso-potenza) ed è installato in un nuovo telaio a traliccio in tubi tondi, perciò non ha più la funzione portante che ha sulle R che vediamo normalmente su strada.





I carburatori sono due Bing ripresi dai boxer a due valvole ora fuori produzione: l’elettronica è meno affidabile, e soprattutto più problematica da diagnosticare in caso di malfunzionamento. Il cambio è quello standard della GS, ma senza gli ingranaggi della sesta marcia. La moto pesa 190,5 kg per ben 95 cavalli di potenza massima, che le consentono di raggiungere una velocità su sabbia di 205 km/h.
Le sospensioni sono della White Power, con una forcella a steli rovesciati al posto del Telelever di serie, mentre posteriormente viene mantenuto il sistema Paralever, dotato ora di un mono con sistema progressivo dell’idraulica PDS (e molla in titanio, per un risparmio di peso, rispetto all'acciaio armonico, di 1,3 kg).




Freni Brembo, con pinza flottante a doppio caliper davati e a quattro pistoncini dietro, con dischi da 300 e 285 mm rispettivamente. L'autonomia della "belva" è assicurata da serbatoi anteriori e posteriori, questi ultimi in due versioni da utilizzare in funzione della lunghezza della tappa. Il volume del carburante varia da 55 a 60 litri.






Questa è la moto che ha vinto la 23a Dakar. Al sesto tentativo "serio" e con un bagaglio di sfortuna alle spalle considerevole. Monocilindrico di 653,7 cc raffreddato a liquido, testa monoalbero a quattro valvole, rapporto di compressione 11:1, 66 CV dichiarati (impossibile sapere la verità). Lo scarico rimane sdoppiato per tutto lo sviluppo, una soluzione a suo tempo già impiegata con successo dalla Gilera per le sue RC 600/750 R. Pesa 154 Kg a vuoto, ed ha serbatoi di carburante (uno diviso in due davanti e due accoppiati dietro) per complessivi 50 litri.





Sospensioni White Power, con una forcella "factory" a steli rovesciati da 48 mm e monoammortizzatore posteriore, per escursioni di 295 e 320 mm ripettivamente. La forcella ha gli steli con riporto superficiale in nitruro di titanio, per resistere all’usura provocata dalla sabbia e dalla polvere. I freni sono Brembo, con dischi da 300 e 220 mm davanti e dietro, mentre i pneumatici sono Michelin Desert. La versione "clienti", sul podio con Degavardo, non è allo stesso livello di sviluppo di quelle ufficiali, ma le differenze non sono tali da farla ritenere una moto realmente diversa e meno efficace.
In realtà il succo del discorso è che questa è una moto straordinaria, efficacissima ed affidabile.





Ha prestazioni impensabili fino a solo poco tempo fa per una monocilindrica. Una coppia da trattore ed una velocità di punta che sfiora i 190 km/h (fate voi). Ci pensate a queste velocità in fuoristrada? Ed è il risultato di un progetto non solo tecnico (a cui ha dato un gran contributo il tecnico Klaus Nolweg) ma anche organizzativo, al centro del quale io vedo ancora (mi scuserà quel qualcuno che dovesse sentirsi ingiustamente escluso) Barbara Kenedi, “scottata” dalla più sfortunata delle Dakar lo scorso anno, e capace di gettare il seme della riscossa in seno alla Casa austriaca. E con che risultato! La LC4, adesso, ha vinto TUTTO. Un coprimoto di tela alluminata, che è stato utilizzato per proteggere durante la notte la moto controllata dai meccanici a fine tappa, cita: "Ssssst, the beast is sleeping – Silenzio, la belva sta dormendo".


di Piero Batini




Da un paio d’anni le Case giapponesi hanno lasciato perdere. A parte una sparuta rappresentanza di privati, dopo anni di predominio (pensiamo anche solo alle cinque vittorie consecutive della Honda NXR, parente della Africa Twin di serie) da un paio di appuntamenti i marchi del Sol Levante hanno lasciato che la Parigi-Dakar diventasse una sfida “personale” tra BMW e KTM, le uniche che tutt’ora si impegnano in sforzi economici e organizzativi notevoli in questa formula. La quale, dal canto suo, con l’avvento del GPS ha perso la navigazione come discriminante primaria: trovare la strada non è un problema, e fuori dalla pista ci finisce chi lo decide per calcoli tattici. Questo però nulla toglie dal punto di vista agonistico e tecnico alla battaglia tra i due marchi di lingua tedesca, di cui vi cominciamo a presentare le protagoniste. Ma la nostra (e la vostra) curiosità non si esaurisce con questo assaggio, per cui abbiamo già in cantiere un’approfondimento... Continuate a seguirci!
Parigi-Dakar: le moto protagoniste
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