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Buell M2 Cyclone 2001

il 22/05/2001 in Moto & Scooter

Una moto dal DNA apparentemente fuori luogo, dall'estetica tutta muscoli, dal fascino ancestrale di una meccanica che sa di museo. Ma che sa anche sorprendere nella guida.

Buell M2 Cyclone 2001
La ruota anteriore


di Alberto Dell'Orto, foto Alex Photo




Quando si pensa a una motocicletta americana bicilindrica a V, di cilindrata ben oltre il litro, con distribuzione ad aste e bilancieri e raffreddamento ad aria, molto probabilmente non è la sportività la prima qualità che viene in mente. La Harley Davidson, è vero, produce le Sportster 883 e 1200, ma in fondo si tratta di moto che possono essere considerate sportive solo in rapporto agli altri modelli del marchio.





La Buell fa la parte del bastian contrario, e produce motociclette di impronta decisamente aggressiva sfruttando proprio lo “small block” della casa di Milwuakee alloggiato in una ciclistica del tutto differente. Il compito non è semplice, perché il propulsore è originariamente progettato per fornire coppie energiche a regimi molto bassi, e non per frullare in alto alla ricerca delle grandi potenze.
Eppure, grazie alla cura ricostituente di questa sorta di Abarth dell’Harley che è la Buell, la presa di contatto con il prodotto che ne scaturisce spegne immediatamente il sorriso beffardo di chi, da europeo abituato alla bella meccanica e alle prestazioni gustose, si avvicina con scetticismo a queste macchine.




Il lavoro svolto dai tecnici ha permesso di godere di livelli di potenza (94 CV) di primo piano nel settore delle naked (per lo meno bicilindriche) e di dichiarare un sorprendente peso a secco di 197 kg. Numeri che, insieme all’estetica decisamente grintosa, promettono se non altro una buona dose di divertimento.
Tutte rose, dunque? Non proprio. I difetti in una moto così particolare ci sono, e si notano sia prima, sia dopo essere saliti in sella. Ma possono essere proprio quelli che fanno innamorare di una moto così “diversa”.






La moto è indubbiamente tesa verso la semplicità ed essenzialità che le permettono, nonostante la parentela con le Harley, di contenere il peso in quote assolutamente credibili. E allora, via ciò che non è strettamente indispensabile per usare la moto e per farsi notare nel traffico e al bar. Perchè in effetti la M2 Cyclone ha fascino, esaltato dalla colorazione nera dell’esemplare della nostra prova, e ai semafori gli sguardi incuriositi sono numerosi.




Avvicinandosi un po’ di più, però, alcuni articolari deludono, soprattutto alla luce dei venti milioni richiesti per portarsi a casa la moto: la strumentazione (da quest’anno dotata anche di contagiri) è esteticamente povera e, come i blocchetti elettrici, denuncia origini utilitarie. Le fusioni in lega leggera sono piuttosto porose e quindi pronte ad accumulare sporcizia, la vernice si rivela delicata e pronta a graffiarsi, le leve al manubrio appaiono datate e non sono regolabili, il supporto del faro è in semplice acciaio verniciato, mentre il gruppo sella codino (decisamente spartano) è vincolato solo attraverso una vite raggiungibile da chiunque sotto il parafango. Poco male, tanto sotto la sella non si può riporre nulla...




Questi aspetti contrastano notevolmente con particolari raffinati come il cromatissimo monoammortizzatore alloggiato sotto il motore, l’aggressivo impianto frenante anteriore Nissin (disco da 340 mm e pinza a sei pistoncini) e il delizioso tappo del serbatoio di tipo aeronautico, per tacere di un livello di finiture del propulsore davvero elevato: la verniciatura dei cilindri, le cromature dei carter e i bei collettori di scarico in acciaio appaiono sono stati di certo studiati per appagare l’occhio dell’appassionato.






Il propulsore deriva da quello impiegato sull’Harley Davidson Sportster 1200. Si tratta di un propulsore bicilindrico a V di 45° secondo la più classica tradizione della casa, dotato di raffreddamento ad aria e distribuzione ad aste e bilancieri. Le misure caratteristiche di 88,8 x 96,8 mm ne fanno uno dei sempre più rari esempi di motore motociclistico a corsa lunga, il che ne limita la possibilità di salire di regime (la potenza massima è dichiarata in 94 CV a 6100 giri), ma favorisce l’ottenimento di camere di combustione pulite e compatte. Rispetto all’unità originaria, le differenze a livello di distribuzione, di rapporto di compressione (portato a 10:1), di alimentazione e di scarico hanno fatto guadagnare significativamente in prestazioni.





Interessante è la realizzazione composita dell’albero motore, che ruota interamente su cuscinetti volventi: il perno di manovella è vincolato ai volantini attraverso accoppiamenti conici e grossi dadi di ritegno. Le due bielle giacciono sullo stesso asse, poiché la biella del cilindro anteriore è dotata di testa “a forchetta”, che ruota su due cuscinetti e lascia lo spazio, al centro, per alloggiare l’altra biella, di aspetto convenzionale.




Altra particolarità è rappresentata dalla lubrificazione a carter secco, che utilizza un serbatoio separato e una pompa doppia per inviare l’olio agli organi interni e recuperarlo dopo che è ricaduto nella coppa. La distribuzione impiega ben quattro alberi a camme, perché ognuno aziona, attraverso punterie idrauliche, una sola valvola.






Salire in sella alla Cyclone è un’esperienza insolita. La posizione di guida è piuttosto particolare (ricorda quella di un cavallerizzo), ma permette di sentirsi a proprio agio perchè l’ampiezza del manubrio consente il controllo della situazione, mentre l’imbottitura della sella e la taratura delle sospensioni donano un comfort persino inaspettato, dopo l’impatto estetico da moto “maschia”. Solo le vibrazioni sono decisamente sensibili, mentre ai regimi appena sopra il minimo (1200-1300 giri) la moto è percorsa da fremiti incontrollabili, che fanno capire quanto di “vivo” abbia questa moto, ma segnano decisamenete un punto a sfavore dal punto di vista della comodità. La protezione aerodinamica è, come intuibile, piuttosto scarsa. Il passeggero non è accolto come un pascià (nè era lecito aspettarselo), ma almeno l’imbottitura della sella è comoda e le pedane sono ad un’altezza ragionevole, anche se la mancanza di un appiglio vero (come un maniglione) si fa sentire.




La funzionalità dei vari comandi è da ritenersi soddisfacente: la frizione è morbida e ben gestibile (il cambio, invece, è duro e “legnoso”, anche se sufficientemente preciso), mentre i comandi dei freni hanno un rapporto di torchio idraulico azzeccato come compromesso sforzo/modulabilità. I blocchetti elettrici, benchè datati come design, offrono se non altro una certa familiarità; manca però il comando del lampeggio con l’abbagliante.
Non molto intuitivi, invece, i comandi dell’arricchitore a freddo e il rubinetto del carburante, non visibili quando si è seduti in sella.






Nonostante le origini, la Cyclone si dimostra docile ai comandi e fa aprezzare subito l’opera di contenimento del peso. Si dimostra inaspettatamente agile, anche se forzando il ritmo la forcella appare un po’ sottodimensionata e manifesta un’elasticità che nella guida molto sportiva penalizza la precisione di traiettoria e in generale il feeling con il mezzo




Il propulsore, per altro, è molto godibile: se ne apprezzano le qualità fatte di erogazione piena, una disponibilità sorprendente all’allungo e, quindi, di elasticità di ottimo livello; l’accelerazione è però penalizzata da una rapportatura finale molto lunga (per scoraggiare le impennate?), che costringe a partire al semaforo “sfrizionando” (anche in prima viaggiare sotto i 30 km/h richiede l’uso della frizione) e trasforma la quinta in una marcia “overdrive” (in quarta si toccano già velocità molto vicine a quella massima, che è indicata dal tachimetro oltre il fondoscala tarato a 220).




Il terreno di caccia di questa moto è il misto veloce, dove sfodera la prestanza del motore e la buona distribuzione dei pesi. Mostra qualche ondeggiamento se il fondo stradale non è perfetto, ma anche una certa competenza nei rapidi cambiamenti di inclinazione, ancora più lodevole tenendo conto dei suoi cromosomi. Il freno anteriore merita sicuramente l’aiuto di un compagno: andando a spasso la sua azione è efficace e facile da gestire, ma quando si comincia a forzare il ritmo e si ricorre a frequenti staccate il disco singolo tende a surriscaldare e a perdere mordente.


Motore: a 4 tempi, bicilindrico a V di 45°, raffreddamento ad aria, alesaggio e corsa 88,8 x 96,8 mm, cilindrata 1203 cc, rapporto di compressione 10:1; distribuzione ad aste e bilancieri, 2 valvole per cilindro, comando a ingranaggi, punterie idrauliche; lubrificazione a carter secco. Alimentazione: un carburatore Keihin CV da 40 mm; capacita’ serbatoio 21 litri. Accensione elettronica. Avviamento elettrico.

Trasmissione: primaria a catena triplex; frizione multidisco in bagno d’olio, comando a cavo; cambio in cascata a 5 marce; finale a cinghia dentata.

Ciclistica: telaio a traliccio in tubi d’acciaio, inclinazione asse di sterzo 24,5°, avancorsa 97 mm. Sospensione anteriore: forcella telescopica, steli da 41 mm, escursione 119 mm; sospensione posteriore: forcellone in acciaio con monoammortizzatore regolabile, escursione 117 mm. Ruote: anteriore tubeless in lega leggera, pneumatico 120/70-17”; posteriore tubeless in lega leggera, pneumatico 170/60-17”. Freni: anteriore a disco flottante di Ø 340 mm, pinza a 6 pistoncini contrapposti; posteriore a disco fisso di Ø 230 mm, pinza flottante a 1 pistoncino.

Dimensioni e peso: interasse 1410 mm, altezza sella 749 mm. Peso a secco 197 kg.

Prestazioni: potenza 93,5 CV (70 kW) a 6100 giri, coppia 10,8 kgm (113 Nm) a 5600 giri.

Omologazione Euro-1: si’







Buell M2 Cyclone 2001
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