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Drysdale 750 8V

il 21/05/2001 in Moto & Scooter

Dopo la mitica Guzzi 8V, nessuno aveva più costruito moto da corsa a otto cilindri. Ora c’è la Drysdale, e subito Cathcart l’ha provata in pista

Drysdale 750 8V


di AlanCathcart, foto Paul Barshon




Nel museo del circuito di Donington c’è un nuovo acquisto che testimonia, fra le stravaganze tecniche della Formula 1, la fantasia di un progettista australiano di moto, Ian Drysdale, che nel 1990 costruì a Melbourne un originale veicolo a due ruote di tipo enduro. Questo veicolo, conservato ora a Donington, si chiama Dryvtech 2x2x2, ossia due ruote motrici, due ruote sterzanti e motore a due tempi.
Ma il Dryvtech, benché ingegnoso, fu solo un assaggio per il quarantenne Drysdale, un anticipo del suo più recente e clamoroso progetto: una 750 supersportiva con motore a quattro tempi otto cilindri a “V”.





Nel giugno del 1997 fui il primo a salire in sella al prototipo stradale della Drysdale 750 8V, provandola sulla pista di Calder Park. A quattro anni di distanza il progetto va avanti, ma nel frattempo di questa moto è stata costruita anche la versione Superbike, che grazie ad una speciale autorizzazione corre nelle gare nazionali SBK, guidata dai piloti J.J O’Rielly e Andrew Willy. Questa autorizzazione, già concessa in precedenza a Case come la Ducati, la Bimota e l’Aprilia, permette alla Drysdale di gareggiare pur in assenza di un numero di esemplari omologati e in libera vendita e di far quindi preziosa esperienza in vista di impegni futuri più seri e regolari.




La Drysdale 750 8V in versione corsa mi è stata concessa in prova sul circuito di Broadford, a nord di Melbourne; ho accettato volentieri questa opportunità non solo perché mi permette di verificare i progressi fatti da questa moto in quattro anni, ma anche perché in vita mia non mi era mai capitato di guidare in pista una moto da corsa con più di sei cilindri.






Ascoltare l’affascinante rombo emesso dai due silenziatori del V8 posti sotto la sella, mentre Ian scalda il motore, non solo fa venire la pelle d’oca, ma mi apre anche una finestra sul panorama che il motomondiale GP offrirà alla nostra vista e al nostro udito a partire dal prossimo anno.

Bene, se il rombo delle pluricilindriche Honda, Yamaha, o MV, sarà di questo tono, allora sono pronto a pagare qualsiasi biglietto per una stagione “musicale” ad altissimo livello!L’avviamento della Drysdale è elettrico, ma il motorino della Kawasaki ZZ-R 250, abituato a mettere in moto la metà dei cilindri, fatica un po’ prima che si possa sentire il borbottio regolare dell’8V al minimo. Appena si accelera per farlo cantare, ci si accorge della differenza fra i carburatori Keihin racing da 32 a valvola piatta della versione da corsa e i Mikuni CV che equipaggiavano il prototipo stradale. I Keihin impongono un certo sforzo in apertura e ciò è aggravato dal fatto che la corsa dell’acceleratore è abbastanza lunga. Aprire contemporaneamente otto valvole di otto carburatori separati non è una cosa da poco, ed è per questo che Ian ha allo studio un sistema di iniezione elettronica con iniettori Bosch e centralina australiana Motec.




A 9000 giri il V8 frulla e canta che è un piacere; il contagiri digitale sale in rapidissima progressione verso il regime di intervento del limitatore, normalmente tarato a 16.000 giri, ma in questo caso abbassato a 14.000 giri, essendo appena stato revisionato il motore.

La potenza massima dichiarata da Ian Drysdale per il suo motore è di 140 CV all’albero, a 13.200 giri, che si traduce in circa 115 CV alla ruota: più o meno gli stessi di una Ducati 916 SP o di una Suzuki TL 1000R, ma con quanta musica in più!






Il motore ha un gran numero di componenti originali Yamaha, così da facilitare la reperibilità ovunque dei pezzi di ricambio in previsione della produzione del modello stradale.

Le teste sono della FZR 400 R, la distribuzione quindi è bialbero a quattro valvole per cilindro (21 mm quelle di aspirazione, 19 mm quelle di scarico) comandata da catena centrale che prende il moto direttamente dall’albero motore. Oltre agli organi della distribuzione, Yamaha sono anche i pistoni e le bielle.





Il carter è tagliato orizzontalmente ed il semicarter superiore integra le due bancate dei cilindri, disposte a 90°. Alesaggio e corsa sono rispettivamente di 56 e 38 mm. L’albero motore pesa appena 5,5 kg ed è ricavato da un blocco d’acciaio pesante all’origine 44 kg!

Il raffreddamento a liquido è dotato di due radiatori posti in posizione frontale e in grado di mantenere la temperatura attorno a 75° anche nell’uso in pista. Due batterie, poste dietro il cupolino, alimentano l’apparato di accensione elettronica digitale, costruito dalla Vance & Hines su specifiche Drysdale e programmabile su quattro differenti mappature, basate su quella della Yamaha YZF 600.




Il cambio, completamente estraibile, la frizione in bagno d’olio, le ruote, i freni e la forcella sono anch’essi Yamaha, per la precisione derivano dal modello YZF 750.

Il telaio è un traliccio in tubi d’acciaio saldati al TIG e pesante 11 kg senza il forcellone d’alluminio (preso dalla Kawasaki ZZ-R 1100). La sospensione posteriore, di tipo progressivo, è incentrata sul monoammortizzatore Ohlins posto davanti alla ruota motrice. La distribuzione del peso (in tutto 186 kg, inclusa la carrozzeria in fibra di carbonio) carica il 53% sull’anteriore e il 47% sul posteriore.






Come già spiegato, la Drysdale 8V che ho provato a Broadford era stata limitata a 14.000 giri anziché 16.000 giri per poter rodare in sicurezza il motore. Ciò ha certamente influito sulle prestazioni, ma non più di tanto sulla possibilità di comprendere il comportamento della moto.

Anche cambiando a 13.500 giri il motore non scende sotto il regime di 11.000 giri, mantenendo quindi una sostanziosa disponibilità di coppia e prestazioni di tutto rispetto. Già a 5000 giri è possibile riprendere con sufficiente energia, anche se il tiro si fa effettivamente consistente dai 6000 giri in su.

Si fa notare un buco di potenza attorno agli 8000 giri, che complica la vita al pilota in un circuito tormentato come quello di Broadford, tanto tormentato che sul rettilineo non è possibile inserire altro che la quarta, mentre addirittura non si sarebbe andati oltre la terza potendo far girare il motore al suo regime pieno di 16.000 giri.




La maneggevolezza non è da primato, e c’era da aspettarselo, ma su questa pista lo si nota senz’altro più di quanto si noterebbe a Monza o a Phillip Island. In uscita dalle curve lente bisogna lavorare di frizione per mantenere il motore entro un regime utile e per superare il gap della mancanza di inerzia dell’albero motore.

La stabilità invece è sorprendente per una moto di queste caratteristiche: la Drysdale mantiene con precisione e sicurezza le traiettorie impostate e non accenna a “cadere” all’interno come sarebbe lecito attendersi da una moto di simile dimensioni. L’avantreno soprattutto ispira grande confidenza, e lo si apprezza anche in frenata, quando il doppio disco Nissin con pinze a sei pistoncini, sollecitato al massimo, sviluppa tutta la sua potenza frenante, assecondato da una ciclistica che mai si scompone.
Drysdale 750 8V
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