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Storie di moto: la nascita della Moto Guzzi Saltafoss

Testo e foto di Cristiano Morello il 12/12/2014 in Moto & Scooter

Il suo destino era quello di finire dallo sfasciacarrozze e invece una vecchia Moto Guzzi V65 SP è tornata sulle strade, rubando l'anima a una famosa bici da cross degli Anni 70

Storie di moto: la nascita della Moto Guzzi Saltafoss
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Pino è un bambino. Pino sogna di scappare oltre la collina, Pino vuole girare il mondo. E intanto alza la polvere di quella strada sterrata di periferia con la sua Saltafoss: parafanghi alti, tabella porta numero gialla, telaio metallizzato. Cambio manuale a tre marce, freni a disco, lunghi ammortizzatori. Sembra una moto, ma è una bici. Un mito per molti bambini degli Anni 70. Passano quarant'anni. Pino "disegna" e "cuce" moto nel suo garage. Fai una special per gli amici, fanne due... alla fine iniziano a chiamarlo il "sarto". A quel punto, lui si inventa un marchio: SBC Sartoria Meccanica.
Abbandonata
Una Moto Guzzi V65 SP, classe 1982. La storia di questa moto sembrava ormai essere giunta all'ultima pagina, concludendosi sotto un telone di plastica, in un cortile milanese.
Anni all'addiaccio l'avevano privata di ogni battito vitale. Era pronta per la discarica. "Te la regalo, vienitela a prendere". Questa fu la frase al telefono che scatenò in Pino il desiderio di salvare quella creatura. "È ancora troppo giovane per lasciarci" pensò prima di vederla. "È da buttare" pensò dopo averla vista! Ma l'uomo d'onore mantiene sempre fede alla sua parola e la piccola carcassa entra nel garage SBC Sartoria Meccanica. Non una vera e propria officina, ma un luogo consacrato alla meccanica, il punto di ritrovo di una combriccola di amici scapestrati. Ragazzi giovani ma fatti alla vecchia maniera: Andrea (l'Impostore), Ambro (il Barba), Mauri (il Manetta) e Stefanino ('O mercenario). Che vanno lì a far baldoria e a far perdere tempo a Pino. E così per mesi la guzzina rimane in un angolo. Funge più che altro da ripiano per i bicchieri e i piatti durante le festicciole dell'allegra brigata, tanto che ormai nessuno ci fa più caso.

Un bel giorno, l'illuminazione. Motore snello, cubatura non esagerata, ciclistica robusta: Pino capisce che la V65 è perfetta come base per una scrambler "alternativa". Di più. Pino ci vede qualcosa di più. "Mi farò una Saltafoss". Il telaio viene modificato nella zona posteriore e nei supporti per il serbatoio e per la sella, per essere portato poi a verniciare. Si decide per un bell'arancio micalizzato per i travi superiori e per un nero lucido per la culla inferiore, così da snellirne visivamente la silhouette. Mentre il carrozziere si adopera a stendere spesse mani di vernice sullo scheletro della guzzina, è necessario anche mettere le mani sul motore dalla a alla z: gli anni passati all'aperto, sotto le intemperie, avevano lasciato il tempo all'acqua di filtrare zitta zitta e raggiungere ogni organo meccanico, anche il più nascosto. Ecco allora nuove valvole, pistoni, cilindri rettificati. Un'attenta fresata ai condotti per avere un qualcosina in più e il gioco è fatto.
I carburatori di serie, buoni per la "ruera" (immondizia) vengono gettati a favore di due messi un po' meglio, sempre Dell’Orto da 30, ma con getti più grossi e spilli modificati. Addio alla cassa filtro: a far respirare il V2 ora provvedono due bei filtri Keihin. I cerchi di serie verniciati a polvere calzano gomme Continental Escape, non prima di aver montato due ammortizzatori Koni regolabili, prelevati da una Moto Guzzi T5 ex Polizia. Sono quelli che sulla Saltafoss i bambini chiamavano "i molleggi". La forcella rimane di serie e viene modificata nei pompanti.

La base è fatta, ora bisogna rivestire la moto. E non è certo un problema per Pino, perché solo chi ha le dita intrise d'arte è in grado di snellire, ridisegnare, vestire meccaniche d'altri tempi con gusto e naturalezza, senza quelle inutili forzature che oggi sembrano d'obbligo a tanti customizer.

Nella mente di Pino è tutto chiaro: "Dovrà avere i parafanghi alti in metallo, come la Saltafoss di quando ero ragazzo" si ripete in maniera quasi ossessiva. Ed ecco che quel parafango anteriore del Garelli 50 Cross, che giaceva da anni in un angolo del garage, trova finalmente casa. Per quello posteriore, Pino si affida alla sua manualità di "maniscalco". Tutt'altra storia per il serbatoio di un Gilera 150 Giubileo, che viene adocchiato a una mostra scambio. Sembra nato per fare il paio con la sella di un Guzzi Dingo 50 che Pino usava, pensate un po', come fermaporta. L'impianto elettrico, tutto nuovo, allunga le sue estremità fino a nuove fonti luminose: un faro di profondità da moto custom e un fanalino Moto Guzzi di madre ignota.

Per il manubrio Pino non si accontenta del solito "replica old style", cerca qualcosa di veramente vecchio, in onore dei suoi gloriosi trascorsi fuoristradistici: alla mostra-scambio di Novegro adocchia un bel manubrio da cross dei bei tempi. E qui si conclude la storia del la Saltafoss. O quasi. Se volete saperla tutta, Pino non è riuscito nemmeno a farci un giro, perché uno della combriccola, l'Impostore, se ne è innamorato, gli ha soffiato le chiavi e si è dato alla macchia. Ma guarda il destino...
In principio era: la moto dei Vigili
di Lorenzo Cascioli
Ci sarebbe da farci una rubrica (e magari la faremo): moto vecchie che diventano fantastiche special. La tendenza dei customizer, negli ultimi anni, si sta concentrando al recupero delle monocilindriche enduro giapponesi degli anni 80/90: Honda Dominator e Yamaha XT 600 sempre più stanno finendo sotto i ferri degli stregoni. E invece in questo servizio vi abbiamo raccontato la storia di una Moto Guzzi V 65 SP del 1982. "La moto dei vigili" si diceva a quei tempi, perché in effetti la carenatura in due pezzi della SP (zona inferiore fissa, cupolino vincolato al manubrio) ricordava un po' le Guzzi in dotazione alle forze dell'ordine. I guzzisti se ne fregavano dei commenti dei filogiapponesi e se ne andavano in giro felici e con i piedi ben protetti, dotandola di borse (di solito le Nonfango con i loro telaietti componibili). A quel punto gli ammortizzatori non ce la facevano più e quindi si metteva sotto una bella coppia di molloni più robusti, preferibilmente Koni. Ok, si poteva partire, forti del cardano (e faceva la differenza, perché a quei tempi le catene si allungavano parecchio!). Il motore era il bicilindrico della "serie piccola" nato a fine Anni 70 per le V35 e V50, ancora oggi in circolazione (debitamente aggiornato) sulle V7. Sulla V65 SP era un 643 cc da 52 CV a 7.050 giri. La velocità max dichiarata era di 185 km/h. La ciclistica vedeva l'azzeccato telaio a doppia culla in tubi (stabilissimo), le gomme da 18" e la frenata integrale, antenata degli attuali sistemi "combinati". Chi l'avrebbe mai detto che quella pragmatica moto da turismo sarebbe diventata una Saltafoss?
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