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Opel GT Concept: l'invenzione della ruota

di Christian Cavaciuti, foto GM Company il 08/07/2016 in Moto & Scooter

Un pneumatico rosso è il segno distintivo dell'ultima concept car lanciata da Opel. Ed è anche l'occasione per riscoprire la storia della Opel Motoclub 500, una rivoluzionaria moto del 1928

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L’auto, diciamoci la verità, non sa più far sognare. Per farlo deve ricorrere a potenze smisurate, su modelli accessibili a pochi. Oppure si rifugia nel passato, riprendendo forme e nomi già sedimentati nell'immaginario. In qualche caso guarda addirittura alla moto, che sembra non aver (ancora) perduto la capacità di far sognare. E in casi ancora più rari fa entrambe le cose: guarda alle moto del proprio passato.
È facile pensare che l'unico costruttore automobilistico in grado di fare qualcosa del genere sia BMW: troppo giovani i giapponesi, scomparsi gli italiani, inglesi e tedeschi. Sì, ci sarebbe DKW: proprietaria dal 1928 di Audi, confluì poi nel mega-gruppo Auto Union di cui sopravvisse, appunto, solo il marchio Audi; ma quanto Audi tenga all'eredità DKW lo si vede dal fatto che ha preferito comprarsi la Ducati.

Le Case che hanno prodotto sia auto che moto, però, sono numerose. Anche se delle moto ci si è poi dimenticati, come nel caso di Opel che pure nel suo passato ne ha realizzate e vendute parecchie. E proprio da una di queste è venuta parte dell'ispirazione per la GT Concept, una show car che incarna secondo il brand tedesco (di proprietà dell'americana GM) appunto la sportiva popolare: capace sì di far sognare, ma abbordabile.

La GT Concept si affida a un'architettura sportiva – a motore anteriore centrale e trazione posteriore come sull'ammiraglia sportiva del Gruppo, la Corvette – ma soprattutto a uno stile originale, con una scocca tridimensionale e pulitissima: niente specchietti, niente maniglie e grandi portiere con finestrini laterali integrati, il cui vetro passa senza soluzione di continuità nelle superfici verniciate. Ma la cosa che resterà impressa di questa vettura è probabilmente l'inusuale segno rosso che ne percorre il padiglione, una soluzione che la fa assomigliare a uno di quegli schizzi preliminari da designer, e si completa con i pneumatici anteriori rossi, in omaggio proprio a una moto Opel: la Motoclub 500 del 1928.

Questa storia comincia dall'estro di uno di quei rari personaggi dall'ingegno multiforme: Ernst Neumann-Neander. Figlio di un pittore e a sua volta pittore e grafico, era anche appassionato di meccanica e progettò automobili, barche a motore e soprattutto moto, la sua grande passione. Neumann-Neander era insomma un pioniere del design industriale, e negli Anni 20 mise mano al suo capolavoro: la Motoclub, una moto non solo esteticamente ancora molto bella, ma con soluzioni tecniche in grande anticipo sui tempi.

Il suo creatore era convinto (non a torto) che le moto allora disponibili fossero tutte carenti in termini di comfort e tenuta di strada, specie nelle condizioni in cui versavano le strade in quegli anni martoriati da guerre di ogni tipo. Per migliorare il comportamento stradale, Neumann-Neander introdusse quindi un telaio in acciaio pressato, che teneva il baricentro basso, e una sospensione anteriore progressiva: la forcella era rigida ma poteva ruotare attorno a un perno orizzontale posto davanti al manubrio, con due balestre laterali a controllarne le oscillazioni. Una soluzione molto diversa da come la intendiamo oggi, ma buona per le dissestate strade dell'epoca: tanto è vero che Neumann-Neander ne dimostrò le qualità guidando la sua moto in piedi sulle pedane e senza mani, esercizio sbalorditivo nel 1920. La forcella migliorava anche il comfort, cui il tedesco teneva molto: anche dietro, dove la sospensione era rigida, intervenne sospendendo la sella su due molle a balestra e realizzando una imbottitura a cuscino d'aria, che si estendeva anche ai lati del serbatoio. Le pedane potevano ruotare attorno al loro supporto, per regolarne altezza e posizione, mentre il tachimetro era annegato nel serbatoio per isolarlo dalle vibrazioni. Non da meno era l'estetica, con una grande pulizia di linee e il bel contrasto tra le parti metalliche con finitura color cadmio e il rosso del pellame.

Ma è dal punto di vista industriale che la Motoclub è straordinariamente moderna: il telaio utilizza profilati anziché tubi, che oltre a renderlo più rigido abbattevano il tempo di assemblaggio da 14 ore a 4 ore. La parte inferiore della culla, poi, era imbullonata al basamento del motore e poteva ospitare sia monocilindrici che i compatti V2 dell'epoca, realizzando la prima struttura veramente modulare della storia.

Nel 1927 il progetto della Motoclub fu ceduto alla Adam Opel AG, che dal 1862 produceva macchine da cucire ed era poi passata alle biciclette (di cui negli Anni 20 divenne il maggior costruttore al mondo) e da lì, in modo piuttosto naturale, alle moto e alle auto. Riconoscendo nella Motoclub un grande potenziale appunto dal punto di vista industriale, la Opel pensò a un lancio in grande stile all'Expo del 1929. Per dimostrare l'affidabilità e il comfort della moto, organizzò un viaggio Russelheim-Barcellona con una flotta di moto, che per risaltare ricevettero gomme rosse.

L'evento fu un grande successo, anche se purtroppo la crisi finanziaria del '29 obbligò General Motors a rivedere le sue strategie: Opel cessò la produzione di moto per concentrarsi su auto e frigoriferi. Della Motoclub, così, a Russelheim non si parlò più, fino a che il team di designer incaricati di tornare a far sognare gli automobilisti si imbatté in quelle ruote rosse.

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