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Ducati Monster S4

il 03/10/2000 in Moto & Scooter

Ducati Monster S4


di Alan Cathcart
, foto Kel Edge




In effetti Galluzzi, quando nel 1992 ideò quella che avrebbe dovuto essere una Cagiva e solo all'ultimo momento fu battezzata con il suo nome (Monster) e il suo cognome (Ducati), aveva previsto l'impiego del motore desmo a quattro valvole della 888.

Poi, però, problemi di disponibilità dei motori (la produzione delle Desmoquattro non stava dietro alla richiesta, mentre la 900 SS vendeva meno di quanto programmato) e di mancanza di spazio per una batteria adeguata convinsero la dirigenza dell'allora Cagiva Group ad adottare il motore a due valvole raffreddato ad aria.


Nel 1995 si ripresentò l'idea di una Super Monster, da produrre con la ciclistica e il motore della 916, ma la nuova supersportiva creava già attese di mesi nella clientela, e, in più, non si voleva distrarre l'attenzione del pubblico dalla gamma Superbike verso altri modelli.








Alla fine, la terza volta è stata quella buona. Sulla base meccanica della ST4 la Ducati ha costruito una moto completamente nuova, anche se, facendo eccezione per il motore, la S4 è praticamente indistinguibile a livello estetico dalle altre versioni.

E adesso dovrà scontrarsi con le concorrenti. Ma quali? La nuova Monster è così unica nella definizione delle caratteristiche dinamiche che l'aggressivo attacco portato dalla Cagiva Raptor sembra essre maggiormente sofferto dalla Monster 900 i.e.. La S4 fa classe a sé stante, e in più è una Ducati. È valsa la pena aspettare.


Motore: a 4 tempi, bicilindrico a V di 90°, raffreddamento a liquido, alesaggio e corsa 94 x 68 mm, cilindrata 916 cc, rapporto di compressione 11:1; distribuzione desmodromica bialbero a 4 valvole per cilindro, comando a cinghia dentata; lubrificazione a carter umido. Alimentazione: iniezione elettronica, corpi farfallati da 50 mm; capacita’ serbatoio 16,5 litri. Accensione elettronica digitale integrata con l’iniezione.

Trasmissione: primaria a ingranaggi; frizione multidisco a secco, comando idraulico; cambio in cascata a sei marce; finale a catena

Ciclistica: telaio a traliccio in tubi d’acciaio, inclinazione asse sterzo 24°. Sospensione anteriore: forcella upside-down regolabile, steli da 43 mm, escursione 120 mm; sospensione posteriore: forcellone in alluminio con monoammortizzatore regolabile, escursione 144 mm. Ruote: anteriore tubeless in lega leggera, pneumatico 120/70-17”, posteriore tubeless in lega leggera, pneumatico 180/55-17”. Freni: anteriore a doppio disco flottante di Ø 320 mm, pinze a 4 pistoncini contrapposti; posteriore a disco fisso di Ø 245 mm, pinza a 2 pistoncini contrapposti.

Dimensioni (in mm) e peso: interasse 1440 mm, altezza sella 805 mm. Peso in ordine di marcia senza benzina 193 kg.

Prestazioni dichiarate: potenza 101 CV (74 kW) a 8750 giri, coppia 9,3 kgm (92 Nm) a 7000 giri.

Omologazione Euro-1: si’

Su strada

Ho avuto l'occasione di provare uno dei primi esemplari usciti dalla catena di montaggio, in una giornata che mi ha proposto tutto il ventaglio di condizioni comprese tra il traffico di Bologna e i tornanti del leggendario Passo della Futa. Ho scoperto una moto "maschia"; eppure, nonostante peso e potenza dichiarati assomiglino molto a quelli della Raptor 1000, la guida è completamente differente.

La sella alta e la postura raccolta con i semimanubri in posizione arretrata ricordano molto da vicino l'impostazione delle Superbike, assai più aggressiva di quella della Cagiva sua ideale concorrente. La posizione avanzata, però, crea anche una fastidiosa vicinanza tra le gambe e il cilindro posteriore, il cui calore diviene in breve fastidioso.




La sella è invece comoda e abbastanza ospitale, per lo meno per il pilota, visto che il passeggero è previsto solo per tratti piuttosto brevi. In effetti la vocazione "monoposto" è sottolineata dalle caratteristiche di guida: il motore ha una spinta veramente vigorosa fin dai 3000 giri (regime a cui accetta la piena apertura del gas), che porta a raggiungere la coppia massima (a 7000 giri) con la ruota anteriore sollevata da terra. Insistere fino ai 9200 giri del limitatore non serve, ma fa piacere sapere che si può!





A tanta esuberanza corrisponde il buon comportamento delle sospensioni e le ottime caratteristiche di potenza e modulabilità dei freni. Il risultato è una moto che può essere guidata come se fosse una sorta di supermotard oppure come una 916 senza carena, sfruttando ora l'agilità da scoiattolo, ora la precisione direzionale da sportiva pura.






La linea è la stessa, notissima, della Monster, e raggiungere questo risultato a dispetto di una meccanica in realtà diversa è stato uno sforzo non da poco. Tutto è cambiato affinchè tutto rimanesse come prima, per parafrasare Tomasi di Lampedusa e il suo Gattopardo.

Sotto il vestito, invece, occhieggia il motore a quattro valvole nella sua versione a "corsa lunga" di 916 cc, caratterizzato dalle testate ultimo tipo dotate di albero di scarico ribassato per contenere l'ingombro in lunghezza della termica anteriore. Il necessario radiatore sporca un po' la pulizia estetica della moto, ma appare un compromesso inevitabile.




Piace l'abbandono dell'insidioso cavalletto a rientro automatico della tradizione Ducati. Al suo posto è stata adottata una stampella dotata di interuttore di sicurezza che, però, non permette l'avviamento del motore nemmeno in folle e quindi il riscaldamento mattutino del motore senza essere in movimento.





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