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Il saluto, la (non) tolleranza e la casta dei motociclisti

Marco Gentili il 15/09/2017 in Attualità

Il post della scorsa settimana sul saluto tra motociclisti in città ha scatenato gli istinti peggiori della nostra categoria. E tirato fuori l'intolleranza di fondo di chi si sente più motociclista di altri

Il saluto, la (non) tolleranza e la casta dei motociclisti
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Incominciamo da qui. Andate al minuto 1:00 di questo video, tratto da uno dei film a mio avviso più spassosi mai fatti in Italia, Berlinguer ti voglio bene.



E torniamo indietro a una settimana, a questo post che ha scatenato l'ira di Dio sul nostro sito. Il tema, apparentemente innocuo, era: che senso ha che i motociclisti si salutino per strada in città? Abbiamo argomentato che il gesto, di per sé significativo nel contesto extraurbano e nel relax di un bel giro fatto nel fine settimana, non ha senso di esistere nei percorsi urbani, dove chi viaggia su due ruote lotta per la sopravvivenza e non ha tempo da perdere in altre faccende.

Se una parte dei numerosi commenti ha accolto le mie frasi con lo stesso entusiasmo con cui i colleghi della Megaditta acclamano la frase di Fantozzi: “La corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca” (minuto 3’12”)



l'altra metà del pubblico ha reagito in maniera un filo eccessiva. Ecco, a parte gli insulti alla santa donna di mia madre, ne ho lette di ogni.

A partire dal commento: Questo è il pezzo più inutile che abbia mai letto”. Eh no, caro amico. Quel pezzo è utilissimo. Anche perché a giudicare dal numero di reazioni ha colpito nel segno. Per proseguire poi con epiteti e insulti assortiti, dal “se non sai andare in moto comprati uno sputer” al “non sei un motociclista”.

E qui torniamo a Benigni. Siamo su posizioni opposte, diamo inizio al dibattito. Se volete dire la vostra sull'argomento del saluto, potete farlo qui. Adesso però è il momento di aprire un altro fronte.

Che diavolo è successo ai motociclisti? Siamo tutti impazziti? Siamo così incapaci di interpretare il pensiero e le ragioni dell'altro da ridurre tutto al muro contro muro, alla contrapposizione bianco/nero, fascista/comunista, buoni/cattivi, giusto/sbagliato?

Ebbene, io adoro la moto e ho avuto la fortuna di fondere il mio lavoro di giornalista e la mia passione grazie a Dueruote e al quotidiano dove ho lavorato per sei anni prima di approdare qui. Ho macinato migliaia di chilometri in moto, eppure in città trovo più comodo lo scooter. Questo fa di me un motociclista part-time? Ho viaggiato con ogni clima, eppure più vado avanti con gli anni, più mi arrendo di fronte alla pioggia. Penso che chi va in moto quando piove è un incosciente o un masochista, oppure entrambe le cose. Questo fa di me una checca, o un mezzo motociclista?

Cosa vuol dire sentirsi motociclisti? Sfidare le leggi della natura, i limiti personali, la buona sorte? Oppure - mio parere personale – essere motociclista è più un piacere personale e intimo da godere in certi momenti, apprezzando appieno la bellezza di un paesaggio o l'inclinazione della piega, o la magia della forza centrifuga in curva?

Noto che, purtroppo, molti si sentono più motociclisti di altri. E dietro la loro presunta difesa della categoria tendono a escludere chiunque non assomigli in toto a loro. Essere motociclista non è una gara a chi interpreta al meglio l'ortodossia della moto. A leggere certe correnti di pensiero, nemmeno Valentino Rossi su un Liberty sarebbe un vero motociclista. Essere motociclista è soprattutto uno stato d'animo. Anche se si va in scooter, non si saluta, non si viaggia molto o si lascia la moto in box quando piove.

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