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I viaggi dei lettori

Coast to Coast all'italiana

Di Luca e Lucia il 05/04/2012 in I viaggi dei lettori

Dopo tanti anni senza una moto, una coppia di nostri lettori si rimette in sella. In compagnia di un ingombrante beauty, attraversano l'Italia tra paesaggi splendidi, interfono capricciosi, case infestate e ristoranti più o meno costosi. Eccovi il loro divertente racconto!

Coast to Coast all'italiana
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Lui entra alla sera con la faccia cupa e fa "Ciao". E lei: "Ciao, come è andata?" "Bene, solito…" "Cosa c'è?" "Niente…" "C'è qualcosa che non va?" "No no..." "Dimmi cosa c'è." "Niente tutto bene." "Non ti credo." "Siediti ti devo parlare…"
Lui non la guarda in faccia, tiene gli occhi bassi e mormora: "È da tanto che te la devo dire…" Lei lo fissa muta: "C'è un'altra." "No." Deglutisce, respira profondo e finalmente parla: "Voglio comprare una moto." Lei fa: "Era ora, finalmente!"
Ovviamente ogni riferimento ecc… Sta di fatto che partiamo in giro per concessionari.

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Hai fatto anche tu un viaggio, una vacanza, un itinerario in moto che scatenano la libidine di un vero motociclista? Mandaci il racconto e le foto all'indirizzo: redazione@dueruote.it
Da giovane avevo una bellissima Morini 3 1/2 , di quelle con il cambio a destra e la prima in alto, quindi è stata enorme la sorpresa nel constatare l'altezza delle selle delle moto di oggi.
Io discendo da una famiglia di hobbit e quindi sono di quelli che sfregano il cavallo dei pantaloni scavalcando un bonsai.
Dalla sella di talune moto sgambetto come le ranocchie elettrificate del grande Galvani; da altre mi si chiudono le orecchie per lo sbalzo di quota.
Lei fa: "Compriamo uno scooter che alla nostra età va benissimo". Io, indignato, le dico: "Come sarebbe a dire alla nostra età?". Lei:"Vabbè, la dico diversamente: con le tue zampette corte almeno da uno scooter tocchi in terra."
Questo pragmatismo mi smonta e così torno in sella dopo anni guidando un Honda SW400.
Ma non è finita qui: dobbiamo assolutamente dotarci di un interfono. Ed io che mi vedevo già vestito di pelle con le frange svolazzanti, mi preparo a girare in scooter, con il bauletto e con l'interfono. Va bene, lo compriamo. Nel negozio ci consigliano un oggetto "Che questo è il miglior che c'è… E che poi si autoregola... Cioè si spegne e si accende appena parlate… Basta parlare…"; ogni venditore che abbia la pazienza di raccontarmele mi inebetisce dopo pochi minuti al punto che finisco con il comprare di tutto.
Benissimo! Lo compro! Basta che ci dai un taglio, lo compro!
Arrivano le ferie e decidiamo di tentare un giro vero: un coast to coast all'italiana, tipo da Pontremoli a Fano passando per Castiglioncello e Spello.
Si parte e sono eccitato come un ragazzino. Questo vibrare felicità non mi fa dare troppa importanza al fatto che abbiamo stipato talmente tanti vestiti in un povero scooter da poter star via due mesi anziché una settimana; fra di essi un robo che io ignoravo esistere e che sarà un incubo per tutta la settimana: un beauty di tre chili che sarà onnipresente, al pari di un calcolo renale, per tutto il viaggio.
Coast to Coast all'italiana
Chi si fosse trovato a sostare lungo la via Emilia quella mattina nel tratto da Imola a Parma, avrebbe visto passare una coppia matura, seduta su uno scooter, schiacciata fra bauletti, zaini e beauty, urlando forsennatamente come due pastori disperati che richiamino un gregge indisciplinato.
"Ehi" "Uaaa" "Ohiii" "Aaaaah" "Aaaarghhh": il tutto per attivare il microfono dell'interfono "migliore del mondo" che ogni trenta secondi si spegneva. Alla soglia dell'afonia, tutto d'un tratto, nella tratta Parma-La Spezia, quella cozza bluetooth non si è più spenta ed ho potuto godermi il viaggio.
Valicata la Cisa per la prima volta mi affaccio sulla Lunigiana, che è bellissima. Un bosco, un unico ed enorme bosco che scende pian piano verso il mare. Da qui passava la via Francigena che mi immagino come un precario e sparuto filamento che attraversava l'Europa da nord a sud. Penso a cosa fossero all'epoca gli spostamenti attraversando queste terre, di notte quando il buio era veramente buio, fra i briganti, mentre l'ordine e la sicurezza che garantiva Roma si erano frantumati secoli prima. E si capisce perché questa sia una terra di fate e fantasmi, di leggende e di streghe: per la sua severità monastica e per la sua bellezza austera.
D'un tratto mi sveglio dalle mie fantasie e siamo a Pontremoli, la prima tappa.
Un resort fantastico ci accoglie. Camera bellissima, gettiamo i caschi sul letto e ci affacciamo sul balcone; salutiamo due ragazzi silenziosi che, seduti compostamente al tavolino sul balcone vicino al nostro, bevono vino. Questi ricambiano con un paio di smorfie, una torsione della glottide e un balenio di gengive; saranno stranieri?
Bene bene, mi metto in mutande e mi fiondo nel parco dal prato curatissimo e dalla bella piscina semideserta. Mollemente porto il lettino fra due filari di giovani ulivi che profumano di pulito e di fresco; mi corico ammutolito. Faccio sì e no in tempo a notare quanto sia tutto bello quello che sto intravedendo fra la ciglia, che un torpore irresistibile mi sottrae alla compagnia del mondo. Ignoravo l'effetto narcolettico dell'ombra, o forse dello scooter; in ogni caso mi sveglio con la bolla al naso e con una gran fame. Doccia e via che si sfreccia (si fa per dire) verso Portovenere.
Tramonta, e tutto si tinge di rosa, ma rosa davvero. Mi accorgo che sto guidando curva dopo curva, ad occhi sgranati e attonito.
Quando ci affacciamo al piccolo golfo vorrei vivere in eterno. Dalla gioia mangio persino pesce, cosa che per me accade, come gli equinozi, due volte all'anno.
Il pesce non mi piace mai, ma questo me lo faccio piacere a furia di frizzantino bianco e fresco. Si torna, pian pianino, a dormire al nostro stupendo resort.
Doccia bella calda e poi esco sul terrazzo a godermi l'ultimo fresco della notte. Due ragazzi silenziosi, seduti compostamente al tavolino, sul balcone vicino al nostro, bevono vino. Gli stessi. Questi ricambiano il mio saluto con un paio di smorfie, una torsione della glottide e un balenio di gengive; non si sono mossi da lì, esattamente come li ho trovati nel pomeriggio, come due statue di cera di Madame Tussauds.
Mi viene il sospetto che non siano stranieri e che lo strano linguaggio che borbottano è solo per la lingua ingrossata; mi chiedo se sono lì dall'inizio dell'estate e con questo importante dilemma si va a nanna. Fra di noi il beauty che faceva un po' di capricci.
Lasciamo Pontremoli, dopo una colazione nel parco che Casa Howard neanche se la sogna, per raggiungere Castiglioncello passando dalla Versilia. Carichiamo lo scooter e via. Lasciando il piazzale getto uno sguardo verso la nostra stanza e vedo, sul terrazzo, due ragazzi ecc... con tanto di balenio di gengive. Pace!
Coast to Coast all'italiana
La casa "stregata"...
La Versilia non fa per me: bellissime le Alpi Apuane, che come un confortevole schienale proteggono la costa e la esaltano, ma la Versilia non fa per me. Attraversiamo il lungomare di Marina di Massa, Forte dei Marmi, Lido di Camaiore, Viareggio, a passo di lumaca, scansando milioni di persone, senza riuscire a vedere il mare, passando vicino a stabilimenti balneari appiccicati uno all'altro e recintatissimi.
Semafori, dissuasori di velocità, maleducati di ogni genere e nazione.
Una donnetta in automobile ci supera così dappresso da urtarci con il suo specchietto laterale sul mio di sinistra. Noi restiamo in piedi per miracolo mentre la nobildonna scappa.
La Versilia decisamente non fa per me e sono ben felice di lasciarla.
Però Castiglioncello mi riconcilia con tutto il resto della giornata.
Mi piace fin da subito, fin da quando la si raggiunge dall'alto, quasi planando, vedendo anche quello splendore bianco che è la spiaggia di Rosignano.
Una amica ci aveva dato le chiavi della sua vecchia villa dove, da bambina, trascorreva le vacanze. Quando la troviamo restiamo di stucco: un tipico villino anni '50 dentro un bel parco privato pieno di pini.
Viene da cercare la racchetta Maxima e le braghine bianche bordate di rosso blu (i più anziani le ricorderanno?).
Dopo qualche decina di minuti di tentativi, armeggiando con le chiavi in serrature da tempo inutilizzate, riusciamo ad entrare.
Silenzio.Odore di muffa e di stantio, pareti ingiallite e umidicce. Esitiamo sgomenti per un attimo prima di deciderci a spalancare tutte le finestre.
Da una foto color seppia, su un tavolino nell'ingresso, ci osserva severo un impettito colonnello in divisa.
Mi sposto per evitare il suo sguardo: il vecchio padrone di casa, morto chissà quando, non la smette di fissarmi.
Esplorazione della casa: stanze piccole, semibuie, polverose coperte damascate, cuscini vecchissimi, porte cigolanti, aliti di vento.
Siamo diventati silenziosi, ed io non riesco non guardarmi in giro circospetto. Proseguiamo senza dire una parola, una porta dopo l'altra.
Una lieve peluria mi si alza a metà schiena quando entro nella stanza dei bambini, i cui letti dalle testate in legno dipinto, sembrano piccoli catafalchi, con i giocattoli ancora al loro posto, come se un accadimento improvviso avesse portato via tutti d'un colpo.
Abbiamo assolutamente bisogno di uscire; richiudiamo la casa perchè ci accorgiamo che non ha inferriate. Il padrone di casa mi sembra annuire soddisfatto che ce ne andiamo.
A spasso per Castiglioncello si sta benone: al ristorante che scegliamo mi propongono una pappa al pomodoro davvero squisita.
La mangio felicissimo, pensando a Gianburrasca e a Rita Pavone, così felice che poi non mi rendo conto che per secondo ho ordinato ancora una volta del pesce; insomma beviamo vino, un buon dolce, un liquorino, si va a fare due passi, guarda che bello laggiù il mare, si dai andiamoci. Allora passa di qua, strada chiusa; passa di là, si torna sulla statale; scendi di qui, ci sono solo cassonetti; forse là dietro, il retro di un palazzo.
Insomma non troviamo il modo di scendere vicino al mare. Ce ne facciamo una ragione e torniamo allo scooter; salgo in sella e lo pungolo con i talloni ma lui non si muove. Lo ripungolo e faccio "Ooohoo", ma lui si rifiuta di camminare. Poi lo accendo con la chiave e capisco che ho dato troppa confidenza al vino.
Si torna al villino, è già notte. Il giardino è buio nero e pesto, tira un bel vento fra i rami dei pini. Fatichiamo a trovare il buco della serratura tanto è buio. Entriamo.
Accendendo l'interruttore della luce, nient'altro che un debole giallore rischiara la stanza.
Ho come la certezza che la foto del colonnello sia stata spostata e mi viene la pelle d'oca.
Ovviamente non dico niente, ben sapendo che non c'è niente di peggio della reciproca suggestione.
Subito a letto, chiudendo la porta della camera. Naturalmente dopo due minuti si soffoca e quindi sollevo qualche centimetro la tapparella; mi corico ad occhi sgranati e fissi, osservando le ombre di mani, di teste, e figure che si agitano là fuori: sono consapevole che si tratta delle ombre dei rami dei pini, ma in quel momento la consapevolezza non so cosa sia.
Stiamo coricati in silenzio, immobili, schiena contro schiena, perfettamente al corrente che l'altro è sveglio. Passa il tempo, lento, lentissimo, lentissimo.
D'un tratto dei passi. Nitidi. Dei passi. In casa. Come piccoli scricchiolii.
Fanno così i passi malfermi di un vecchio.
Passettini, fuori dalla porta.
Uno dopo l'altro, regolari e continui.
Non oso muovermi, sono come paralizzato, non apro bocca.
Lei mi fa "Cos'è?"; io dico "Un topo!". "Un topo?" "Sì per forza, dai; cosa vuoi che sia ques…."
BAMMM !!!! Si spalanca di schianto la porta della camera!
Lì, in quel momento, ho capito di avere un cuore di ferro, ma che dico di ferro, di ghisa.
Però mi sparisce la prostata.
Ovviamente non ci sono spiriti, ma con le prime luci del mattino siamo già in sella, con un asciugamano sotto il sedere.
Coast to Coast all'italiana
Sapevo che la tappa sarebbe stata lunga. Cecina e poi Volterra, la bella campagna toscana, colline e strade dolcissime, cittadine e borghi turriti, casolari da andarci a vivere, campi curatissimi. Poi il sole fa la sua parte e comincio a perdere colpi. Vicino a Siena perdo un po' l'orientamento.
La giornata è rovente. Poco oltre ho lo sguardo sbarrato, penso di cedere la guida al beauty ma capisco che è troppo piccolo per guidare.
Direzione Trasimeno, d'un tratto trasalisco sentendo una voce nell'interfono che mi intima "ti fermi o no?".
Mi fermo in un paese deserto come in un film di Sergio Leone e dalla sella di dietro scende una signora scompigliata che fisso con sguardo bovino per qualche secondo prima di riconoscere.
Capisco di essere disidratato, bevo e riacquisto conoscenza.
Arriviamo sul lago ben oltre le 14 con una fame da matti. Assaltiamo un ristorante dove mangiamo ferocemente qualsiasi cosa ci presentino sotto il naso, e birra, tanta birra fredda, spumosa, consolante, servita in bicchieri con il manico.
Poi, ma solo poi, guardo il lago con l'attenzione che merita e mi rendo conto della bellezza malinconica del Trasimeno e della sua luce azzurra.
Ultimo tratto e si arriva a Spello, accompagnati dalla pace del fraticello di Assisi.
Riposino all'hotel e poi a cenare: che bello passeggiare per la bellissima Spello! Andiamo alla ricerca di un ristorante consigliato da amici e lo cerchiamo godendoci e stupendoci della bella arietta lieve e fresca che ci fa ben sopportare le salite.
Troviamo il ristorante e capiamo subito che non fa per noi. Non siamo vestiti adeguatamente, non siamo abbastanza fighi e tutto il repertorio che ci si aspetta; tutto questo mi fa sperare che il mêtre sentenzi che non c'era posto.
Invece no, il posto c'è e così ci accomodiamo, un po' recalcitranti, su due scranni così alti che io non tocco bene per terra.
Leggendo il menù abbiamo la certezza che avremmo dovuto cercare un altro posto perché letteralmente non capiamo cosa stiamo leggendo; e così mi viene da piangere dalla disperazione.
Ordiniamo le cose più tranquillizzanti ed aspettiamo osservando curiosi un tizio vicino a noi.
Ha usufruito dello stesso coiffeur della Nicoletta Orsomando dei tempi migliori e si passa ostinatamente con abile leziosità la mano sul ciuffo, ricordando l'affabile simpatia di Sgarbi.
Il bulbo vaporoso copre il cranio di uno slanciato intellettuale che sta, con successo, intortando una ragazzotta giovane la quale lo osserva adorante.
Attorno al tavolo si affannano camerieri, gourmet, sommelier, mêtre e ogni altra figura dal nome francese si possa trovare in un ristorante.
Ogni portata viene accompagnata da una adeguata bottiglia di chissà che vino la cui bontà viene segnalata dal numero di palpate di ciuffo: migliore è il vino più numerose sono le sistemate della meraviglia tricologica.
Dopo poco il tavolo ha così tante bottiglie da assomigliare ad un organo a canne di media grandezza.
L'arrivo dei nostri piatti ci distrae dallo spettacolo: si tratta di due crateri giganteschi dal cui bordo ci affacciamo rimirando, nel fondo del canyon, un ristretto numero di agnolotti (sedici in due) che, precipitati nella fossa, stanno già agonizzando.
Poi, mentre lo "pseudosgarbi" si infervora a ravvivarsi lo scalpo, ci arriva un pollo infilzato da un dardo che quasi quasi mi cavo un occhio.
Mi domando, finito di mangiare, quale sia l'origine del nome Spello: poi mi arriva il conto e, leggendo la cifra scritta in fondo, lo capisco molto bene.
Da non credere. La valle di Colfiorito è così bella da non credere.
La attraversiamo piano piano, incrociando venditori di patate rosse. E' un altopiano che ci fa credere di essere finiti nella terre di Narnia. Segnalo ad altri motociclisti la presenza di pattuglie di vigili: questi, temendo che con uno scooter osi salutarli, non ricambiano e accelerano. Quel giorno i punti ritirati!
E poi Camerino, una favola isolata, la vera Terra di Mezzo; e via via passando: San Severino, Cingoli, per finire al paese del Poeta, Recanati e qui riposare fino al pomeriggio inoltrato, rammaricandoci per la fine del viaggio.
Si sosta ad Acquaviva Picena, e lo consiglio a tutti, a due passi dalla bella San Benedetto del Tronto dove la nostra fama di imbranati raggiunge vette altissime: non riusciamo a trovare un ristorante. Sembra incredibile ma è proprio così: girovaghiamo per l'elegante centro, affamati e stanchi, e poi, alla soglia di una orribile morte di stenti, troviamo, seguendo astutamente una famigliola, un posto dove mangiare.
Avevano solo pesce (gasp, la terza volta!) e così ceno godendomi dei meravigliosi grissini. Ci vuol pazienza.
E' stato il nostro primo viaggetto su due ruote ed è andato benissimo. Rientriamo mestamente a casa: il beauty è l'unico ad essere felice. I nonni lo aspettano.
Coast to Coast all'italiana
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