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Gate32, la "porta" americana di Christian Abbiati

di Fabrizio Greggio il 10/02/2017 in Attualità

Si chiama Gate32, la concessionaria Harley-Davidson di Milano in viale Certosa. Al timone della nuova avventura imprenditoriale c'è, Christian Abbiati, uno che di "porte" se ne intende

Gate32, la "porta" americana di Christian Abbiati
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Via Cormons è una piccola strada di Milano a senso unico nella periferia a nord-ovest della città; sfocia sull’ultimo tratto di viale Certosa, a poche centinaia di metri dalla splendida Certosa di Garegnano. Lontana dal caotico traffico e dai rumori della metropoli, nonostante il vicinissimo svincolo che consente di imboccare tutte le autostrade per il nord Italia, da poco tempo è diventata il punto di riferimento per gli appassionati milanesi del marchio più noto di Milwaukee.

Insomma, con l’apertura di Gate32, la nuova concessionaria Harley-Davidson, erede dell’indimenticata Numero Uno (lo storico dealer di via Niccolini, zona Monumentale, uscito di scena nel 2015), in zona la musica è un po’ cambiata: l’acustica del quartiere è stata piacevolmente scossa dall’inconfondibile sonorità delle marmitte americane. A cimentarsi in questa impegnativa avventura imprenditoriale è Christian Abbiati, portiere al Milan dal 1998 fino al maggio scorso, quando ha dichiarato chiusa la sua carriera fra i pali rossoneri per aprirne una nuova fra un’officina e un salone a stelle e strisce. Siamo andati a trovarlo in viale Certosa 253, nel moderno e spazioso showroom; quando arriviamo sta spostando una Dyna (circa 300 kg di acciaio e poca plastica) senza apparente sforzo. “Come vedete sono impegnato a tutti i livelli: sono il primo ad arrivare al mattino per aprire e controllare che tutto sia a posto. Poi, col pretesto di mantenermi in forma, qui ogni occasione è buona per farmi faticare”.

Dicono che sei un motociclista doc?
“Come tutti, ho iniziato sul motorino; ero sempre in sella, col sole o sotto la pioggia. Ho preso la patente a vent’anni; giocando a calcio non avevo tanto tempo per studiare, meno ancora voglia di stare sui libri. Comunque, non esageriamo: il motociclista doc è un grande viaggiatore, a me bastano 10 km al giorno per stare bene. E non manco mai di farli…”

Come sei approdato al mondo Harley-Davidson?
“Le moto di Milwaukee mi sono sempre piaciute. Ho iniziato ammirando le vetrine della Numero Uno, quando al timone c’era ancora il fondatore, Carlo Talamo. Una decina di anni fa ho ritirato lì la mia prima: una Special con motore ‘1.340’ montato su un telaio rigido del 1950, proveniente dalla Germania. A dire il vero, è quasi sempre parcheggiata in garage perché, per la schiena provata di un portiere, è il contrario di un massaggio… A farle compagnia, oltre alla Dyna Street Bob con pedane avanzate e a una Road Glide, però in vendita, c’è la mia adorata Street Glide ‘baggerizzata’ in livrea rossonera col duomo di Milano sul parafango posteriore e il manubrio ape-hanger. L’ha realizzata in tre mesi di lavoro Diego Catino (noto customizer della scena milanese, ndr)”.

Da appassionato a concessionario il passo non è breve...
“L’idea è nata proprio nell’officina di Diego, durante una delle mie molte visite. Ci siamo detti, ‘la Numero Uno non c’è più e a Milano, si sente l’esigenza di una grande concessionaria che diventi la casa degli harleysti meneghini’. Detto fatto: per fortuna mi hanno affiancato Diego e Nicola Papa, il primo responsabile del settore commerciale e l’altro meccanico molto conosciuto, titolare di un’officina considerata un punto di riferimento per le Harley, al quale è affidata la gestione dell’officina”.

E la scelta della location?
“Durante i contatti con Harley-Davidson Italia ho visitato molte concessionarie per capire come proporci. Volevo una zona comoda da raggiungere e non strangolata dal traffico, che da un lato consentisse di parcheggiare anche una macchina senza dannarsi e, dall’altro, di testare le moto su strade non congestionate. Non ha senso far provare un’Harley se dopo dieci metri sei già incolonnato. La soluzione l’ho trovata in questo stabile, un tempo sede di una concessionaria Nissan. I lavori di ristrutturazione sono stati molto impegnativi, ma il risultato mi soddisfa pienamente. Un ambiente luminoso, accogliente, caldo; Il layout della concessionaria è studiato per consentire al cliente di vedere tutto con un solo colpo d’occhio, dalle moto agli scarichi sino ai giubbotti di pelle. Grande importanza l’abbiamo data all’officina, spaziosa, con sette ponti ben distanziati. Dall’officina si sale allo showroom, dove c’è anche è una comoda area ristoro con divanetti anni Cinquanta. Vorremmo aprire un bar, ma la burocrazia ci mette i bastoni fra le ruote… Nonostante la sola macchinetta del caffè, la passione fa già radunare qui ogni sabato tanti amici, appassionati e soci, poi premiati da un truck food che ogni settimana ci porta specialità diverse…”

Una questione piuttosto sentita dalla clientela riguarda l’assistenza. Come l’avete organizzata?
“Si tratta di un aspetto fondamentale; la fidelizzazione a un marchio - e ancor di più a un dealer - si crea attraverso l’officina e il reparto accessori. Talvolta si tende a vendere il prodotto più caro, senza prestare attenzione alle reali necessità del cliente. Occorre, invece, suggerire gli optional che meglio rispondono alle esigenze e a gusti di chi compra: così si conquista la fiducia. A livello di officina si deve aver la certezza di affidare la propria moto a meccanici preparati, che non solo provvedano a mantenerla in perfetta efficienza, ma che non rovinino minimamente la carrozzeria e le finiture, due aspetti talvolta un po’ trascurati. Proprio in quest’ottica ho voluto Nicola Papa tra i ponti e Max Panigatti agli accessori, un mago a scovare il pezzo giusto, forte della sua pluriennale esperienza in Numero Uno. La squadra si compone di dieci dipendenti e di quattro soci; è un team molto affiatato”.

Non pensi che in Lombardia ci sia una concentrazione eccessiva di dealer?
“Siamo in undici, molti, certo non pochi… Noi siamo fortunati perché Milano è un centro economico molto vitale. Penso che fino a ora abbiamo fatto un buon lavoro e che miglioreremo ulteriormente. Alla fine sono certo che l’impegno pagherà”.

Uno dei problemi sentiti dal marchio – ma non solo – è la necessità di un ricambio generazionale, con un’età media degli appassionati che va ben oltre i quaranta. Come si fa?
“In effetti, speravo di vedere più giovani; ci lavoreremo con iniziative mirate. Tuttavia, ho notato che sono stati numerosi i motociclisti che si sono avvicinati per la prima volta alla Harley-Davidson e, questo, non può che farmi piacere perché indica un allargamento del nostro bacino di utenza. Di certo, l’evoluzione tecnica delle nostre moto è stata recepita e apprezzata. L’apporto dei giovani è essenziale, ma garantisco che vedere l’entusiasmo degli over 50-60 una volta saliti in sella è fantastico. Parlo per esperienza personale: mio padre, che ha superato la soglia dei sessant’anni, si è comprato recentemente un’Harley nonostante non avesse più guidato una moto da trent’anni… Mia mamma mi ha telefonato dicendomi, ‘Christian, tuo padre è diventato un ragazzino’. Inutile negarlo, questa due ruote è una sorta di macchina del tempo. Altro effetto collaterale che apprezzo particolarmente è l’annullamento di ogni distinzione di status sociale. Non importa se sei manager, commercialista, professore, elettricista o piastrellista, neppure se hai una vecchia Sportster a quattro marce con i segni evidenti di tanta strada alle spalle o una fiammante CVO Limited: su quella sella sei un harleysta e basta”.

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