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Ciao Piaggio, 50 anni fa la rivoluzione della mobilità

Marco Gentili il 15/09/2017 in Moto & Scooter

Nel settembre di 50 anni fa veniva presentato a Genova il Ciao Piaggio , uno dei ciclomotori più famosi della storia. Noi di Dueruote gli facciamo gli auguri con questo test "particolare"

Ciao Piaggio, 50 anni fa la rivoluzione della mobilità
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In quella parte piuttosto anonima e sonnolenta di Toscana dove sono cresciuto, incastonata tra l'Appennino e una ex zona paludosa bonificata, per un bambino di otto anni come me non c'erano grossi modi di impegnare i pomeriggi. Fino a quando scoprii quel fantastico motorino a pedali che il nonno Valdo teneva in uno dei capannoni sul retro della lavanderia. Pedalavi e si accendeva.

Così, di nascosto, il divertimento principe di quell'estate fu quello di stabilire tempi sempre migliori sul giro, una sorta di anello ricavato nello spazio dei filari di viti alle spalle del capannone. Con uno stile a metà tra l'enduro e lo speedway percorrevo quell'ovale a velocità sempre maggiore, spigolando col retrotreno e tenendo a terra il piede all'interno della curva per restare in piedi. Il cronometrista ufficiale era mio fratello, di tre anni più giovane.

Tutto bene, fino a quando un giorno la curva diventò troppo stretta e una delle pedivelle si tranciò di netto a contatto col terreno. Il nonno ci mise poco a scoprire la marachella, nonostante il mezzo fosse stato riposto in modo da mettere in bella vista il lato buono del motorino. Quando se ne accorse, tirò fuori una sequenza di parole molto brutte da riportare per iscritto, anche a distanza di molti anni.

UN BATTESIMO SUL MARE
Il Ciao non è un ciclomotore. Sono due ruote con i pedali e la vita attaccata. Ognuno di noi, in modo più o meno consapevole, ha una storia da raccontare, legata a questo geniale mezzo di trasporto che in questi mesi compie 50 anni. Nel giugno del 1967 Piaggio avviò a Pontedera le catene di montaggio del ciclomotore, che venne presentato nell'ottobre dello stesso anno. Fu una premiére in pompa magna per l'azienda, già lanciatissima con il successo della Vespa. L'occasione fu la Fiera del Mare che si teneva a Genova: a fare da padrino alla cerimonia - che si tenne su una lussuosa nave da crociera - fu un giovanissimo Umberto Agnelli. Il Ciao, ciclomotore utilitario per la famiglia, aveva una struttura semplice e resistente, un motore monocilindrico due tempi da 49,77 cc con ammissione a disco rotante, dalle dimensioni così ridotte (era largo 10,2 cm) che poteva essere montato sotto alla pedana, e strutture portanti in lamiera stampata. Una ricetta vincente anche in virtù di consumi risibili (Piaggio dichiarava 70 km con un litro di miscela).

IL NEMICO DELL'AUTO
Nato con cerchi da 19 o 17 pollici (anche se la misura più grande andò presto fuori produzione), il Ciao è stato sin da subito un'autentica icona di stile: sella monoposto, manubrio a U, nessuno specchietto retrovisore né indicatori di direzione (tanto non ce n'era bisogno, per il Codice della Strada di allora). Costava poco, perché le 55mila lire di quei tempi erano poco più della metà della paga di un operaio: ciò lo rendeva un mezzo alla portata di molti. E divenne, grazie a una campagna di comunicazione straordinaria inventata dall'agenzia Leader di Firenze, sinonimo di libertà e di movimento per una generazione che rifuggiva dall'auto. Continuava il gioco di parole ortofrutticolo (dopo "Chi Vespa mangia le mele", arrivò il "melo compro il Ciao") e il ciclomotore di Pontedera divenne la nemesi delle auto, ribattezzate "sardomobili" per via del ridotto spazio interno, che costringeva gli occupanti a stiparsi uno accanto all'altro come in una scatoletta di pesce azzurro.

OGNI BUCA, UN TORMENTO
I miei otto anni sono lontani, ma l'emozione di cavalcare per la prima volta un C9 originale di 50 anni fa è la stessa, se non maggiore di quella di allora (il Ciao del nonno era di una serie più recente). Apriamo il rubinetto della benzina, mezzo giro di pedivella, l'avviamento del motore che rallenta la corsa del pedale e via, il monocilindrico inizia a borbottare. Il cavallo e mezzo scarso del motore spinge a una velocità che, per i criteri dei cinquantini moderni, è a dir poco ridicola. Cinquant'anni fa il mondo era diverso, non era così necessario scattare velocemente dal semaforo e il traffico era tutt'altra cosa rispetto alla giungla di oggi. Evidentemente per i criteri del 1967 la sua potenza era più che sufficiente. Il freno a tamburo, parametrato alla "spinta" del motore, è ben dimensionato per frenare il Ciao e il pilota. Decisamente difficile da digerire (e forse lo era anche per i criteri del 1967) il posteriore rigido, che rende ogni buca una sorta di rivolgimento degli organi interni. Niente sospensione, c'è solo una molla sotto la sella. La visione del mondo, a bordo del Ciao, è molto più lenta, permette di godersi il panorama e apprezzare con un filo di nostalgia anche lo sfiatato e incerto "biiiii" del clacson, suono che oggi scomparirebbe in mezzo all'inquinamento sonoro di qualunque centro urbano. Il Ciao in salita fatica parecchio, ci si aiuta coi pedali. La fragranza di miscela diventa sempre più intensa quando il motore va sotto sforzo.

FASCINO ANCORA ATTUALE
Nonostante il tempo passato e l'evoluzione della mobilità, il Ciao mantiene alcune caratteristiche che lo renderebbero vincente ancora oggi, in tempi di modern classic e di riscoperta del vintage. Innanzitutto il peso piuma e l'agilità nel traffico, che lo renderebbero un perfetto anello di congiunzione tra la bici e lo scooter. E poi una praticità senza tempo, una facilità di accesso alla seduta e un look che a mezzo secolo dalla sua prima apparizione fa ancora girare la testa. Nei nostri sogni più arditi c'è un Ciao che torna in vendita nelle concessionarie, magari con un motore diverso (perché no, proprio elettrico) e con delle sospensioni da 21° secolo. E col solito, inconfondibile, stile di allora.

(Da Dueruote, giugno 2017)

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