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Kawasaki Z 300: oltre i numeri

di Christian Cavaciuti il 07/05/2015 in Anteprime

È una 300, si guida con la patente A2, ma sa divertire come certe naked di cilindrata superiore. È bella, curata come la sorella da 800 cc, facile e senza complessi di inferiorità: con lei si può fare di tutto

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Come ci sono cose nella vita che si fanno una volta sola, ci sono moto che si comprano una volta sola. Sono le cosiddette “moto di passaggio”, di fatto tutte le cilindrate fino a 800-1000 da quando, a partire dagli anni Ottanta, è diventata normale una cosa che prima non era affatto scontata: che tutti dovessero arrivare prima o poi a guidare una maxi. E così è diventata di passaggio non solo la “nave scuola” 125, ma in generale qualunque cubatura inferiore al mezzo litro.

Diciamo questo perché è probabile che se avete già avuto una “piccola”, non la prenderete più in considerazione. Sbagliando, perché queste moto sono molto cresciute: in parte perché, sui mercati del Far East, sono l’equivalente delle nostre “maxi”, e quindi trattate con la massima attenzione in termini di dotazioni e finiture. E in parte perché tutti pensano che anche noi, presto o tardi, ci accorgeremo di quanto valgono: sono versatili, divertenti e tutt’altro che lente.

Prendiamo la Kawasaki Z300 (della Z250 monocilindrica vi parliamo a parte). È nata con la Z800, e lo si vede appieno. Ha la metà dei cilindri e meno della metà della cilindrata (e dei cavalli), peso enormemente più contenuto, gomme più strette: nel confronto è quindi straordinariamente più facile. La base tecnica è quella della Ninja 300, con le classiche modifiche di “nakedizzazione”: assi a camme diversi, scarichi differenti (e più curati essendo a vista) e centralina rimappata per privilegiare i medi.

Restano le cose pregevoli: la distribuzione doppio asse a camme, l’alimentazione con iniettori ultrafini (il diametro delle gocce, 60 µm, è inferiore anche a quello della esasperata KX-F 250 da Cross), due corpi da 32 mm e doppia valvola a farfalla, la frizione asservita e antisaltellamento. I pistoni hanno uno speciale rivestimento ceramico sul mantello, lo scarico è un 2-in-1 basso e corto, mentre dentro la scatola del cambio la Z300 ha una prima marcia più corta e una sesta più lunga rispetto alla Ninja, per adeguarsi meglio alle necessità dell’uso stradale. E a testimonianza della cura costruttiva, è stata introdotta una diversa ventola dotata di una cover che indirizza l’aria verso il basso, riducendo il calore che arriva al pilota (una esigenza particolarmente sentita nelle torride estati del Far East).

Il telaio è in acciaio con disegno a diamante, la forcella è una teleidraulica con steli da 37 mm e il mono montato con link è regolabile nel precarico. I freni sono a disco, con anteriore singolo da 296 mm e disegno a margherita e di serie c’è l’ABS Nissin di ultima generazione, con volume ridotto del 40% e peso di appena 775 grammi. I cerchi a 10 razze calzano pneumatici sono da 110/70 davanti e 140/70 al posteriore: in primo equipaggiamento ci sono i giapponesi IRC. Il serbatoio da 17 litri, perfettamente integrato nella linea e nelle dimensioni generali della Z300, garantisce un’autonomia probabilmente vicina ai 400 km. Dal punto di vista estetico, la parentela con la Z800 è immediatamente evidente, e farà la felicità dei più giovani che potranno sfoggiarla senza complessi di inferiorità, anche considerando le buone finiture.

Ma il bello comincia una volta montati in sella, perché la Z300 vanta un’abitabilità da media cilindrata, con sovrastrutture molto ben raccordate e una posizione non troppo rialzata ma nemmeno costrittiva, un tasso di vibrazioni modesto (il bicilindrico è dotato di contralbero e parzialmente montato su supporti elastici). Educatissima di scarico, lascia condurre i suoi senza alcuno sforzo, e la ciclistica di derivazione Ninja si rivela (come sapevamo), sana e piacevolmente neutra in tutte le situazioni.

Con i suoi 39 CV e 27 Nm di coppia, l’erogazione non fa rizzare i peli sulle braccia, ma se ci si vuole divertire la Kawa non si tira certo indietro: l’ergonomia facilita gli spostamenti in sella, la ciclistica permette di tenere ritmi serrati tra le curve e il motore invita a spalancare il gas senza remore, visto che la spinta è sempre controllabile e molto lineare.

Si riprende da 2.500 giri circa, con un primo impulso a 4.500 e un bell’allungo fino a 12.000 circa. La frizione asservita è una piuma, ma sugli esemplari del test tendeva a staccare molto in fondo. Bene i freni, con un ABS mai invasivo e una potenza più che adeguata quando occorre tirare la staccata della vita: anche in questo frangente, la leggerezza vuol dire tanto. Unico appunto, non ci ha fatto impazzire la strumentazione con l’enorme contagiri e il minuscolo tachimetro, che alla fine è quello che salvaguarda l’integrità della patente…

Ecco, alla fine di un test come questo ti accorgi che con una moto come la Z300 ci fai tutto: città, curve e vacanze (anche in autostrada la moto si difende). Il di più è appunto un di più: le maxi cilindrate si rivolgono ad altre corde dell’essere umano, corde largamente irrazionali visto che anche quanto a divertimento e a possibilità di guida, qui non manca davvero nulla. A questo punto bisognerebbe dire che la Z300, che ha grinta da vendere, è ben rifinita e offerta a un prezzo competitivo, è perfetta per i neofiti, per chi viene da uno scooter e per i motociclisti di ritorno. Ma in realtà va bene per chiunque riesca a guardarla come qualcosa di più di una moto “di passaggio”. E il suo solo vero difetto è, infatti, che ha un prezzo contenuto in assoluto, ma non così lontano da quello di qualche media. E finché dura la logica “bigger is better”, questo è l’unico limite della Z300.

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