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Suzuki GSV-R 2004 MotoGP

il 13/12/2004 in Moto & Scooter

Prova dell’ultima evoluzione della Suzuki  MotoGP, che mostra il grande lavoro di sviluppo del team e lascia intravvedere buone chances di affermazione: il suo punto forte è la gestibilità, e i cavalli dovrebbero arrivare…

Suzuki GSV-R 2004 MotoGP

di Alan Cathcart, foto Kel Edge



La prima bella figura l’ha fatta al debutto, nella gara di Suzuka nel marzo del 2002: sull’asfalto bagnato il collaudatore ufficiale Akira Ryo ha condotto la gara per un bel pezzo, anche se poi è stato Valentino Rossi ad aggiudicarsi la corsa. Poi le luci si sono spente, e la GSV-R si è ritrovata costantemente nelle posizioni di rincalzo, distante da dove il marchio e il pilota di punta (un Kenny Roberts jr.

campione del mondo 500 GP nel 2000) potevano aspirare di arrivare.



Da allora la Suzuki ha messo a punto ben tre versioni della propria arma. Si è partiti con la XR-E0 del 2002, mantenendo il telaio della precedente 500, molto ben a punto, e realizzando un nuovo motore che potesse sposarsi per pesi e ingombri con una ciclistica nata per un due tempi di cilindrata molto inferiore. La scelta è caduta quindi su uno schema mai visto su una moto: un quattro cilindri longitudinale a V di 60°. "Il motivo di questa scelta -spiega Yasuo Kamomiya, responsabile tecnico Suzuki- è nella ricerca della massima compattezza permessa da questa configurazione.



Rispetto a un quattro in linea possiamo avere meno supporti di banco e dunque meno perdite meccaniche e meno peso, migliorare la luce a terra in piega e disegnare una moto più snella, compattare le masse intorno al baricentro per ridurre l’inerzia nei cambi di direzione. Inoltre volevamo una nuova sfida: conosciamo già molto bene i quattro in linea e volevamo provare qualcosa di nuovo
". Che la Suzuki stia pensando a un motore a V per l’erede della serie GSX-R? Vedremo...



Il motore della stagione 2004 è un’evoluzione di quello del 2003, che invece costituisce un salto progettuale rispetto a quello del 2002. L’angolo tra i cilindri infatti è stato allargato a 65° per poter utilizzare un rapporto alesaggio/corsa più superquadro (anche se pare che non sia estremo) e lasciare più spazio in mezzo alla V per disegnare più liberamente i condotti di aspirazione, che nella versione originaria sembravano un po’ sacrificati e penalizzavano la respirazione agli alti regimi. La novità più importante di quest’anno è stato il passaggio da un albero motore con manovelle a 180° (e quindi combustioni più "equidistanti") a uno con manovelle a 360°, cioè sullo stesso piano.



Ciò permette di raggruppare le combustioni in pochi gradi di rotazione e di ottenere un effetto "big bang" già utilizzato nella 500 nei primi anni ’90 per aiutare il controllo dell’erogazione di potenza. Ma costringe anche a utilizzare un nuovo scarico in titanio 4-2 (con andamento conico per ragioni di erogazione) al posto del precedente 4-2-1, perché l’ordine di combustione non permette più la confluenza di tutti e quattro i cilindri. Le testate a quattro valvole (molto compatte) hanno una distribuzione bialbero con bicchierini e pastiglie di registro, mentre le valvole (che disegnano tra loro un angolo molto contenuto) sono in titanio, al pari delle bielle.



Il comando della distribuzione è ovviamente a ingranaggi, e prende il moto da un albero ausiliario posto al centro della V: si tratta di un contralbero di equilibratura che aziona anche la pompa dell’acqua. Diversamente dalla Yamaha, qui l’albero motore ruota in avanti come da tradizione. La frizione a dischi multipli a secco è estremamente compatta e incorpora un sistema di slittamento in caso di inversione della coppia, comunemente detto "antisaltellamento": come vedremo nella prova, si tratta di un particolare molto ben a punto.



Interessante la gestione del motore: l’iniezione elettronica utilizza una centralina Mitsubishi e corpi farfallati Mikuni, che rispetto agli originari Keihin si adattano meglio al sistema di ride-by-wire, cioè all’azionamento delle farfalle attraverso un acceleratore elettronico invece della classica coppia di cavi metallici. I corpi farfallati sono ovviamente posizionati al centro della V dei cilindri, e sono dotati ognuno di due iniettori: uno a valle della valvola a farfalla, l’altro sopra la trombetta di aspirazione, ma per problemi di altezza complessiva del motore non è stato possibile metterlo in posizione centrale come ad esempio nelle Formula 1, perché ciò avrebbe comportato la riduzione del volume dell’air-box, già di per sé sacrificato a causa del layout del motore.



Grazie al migliore rendimento volumetrico è sto possibile ridurre il rapporto di compressione: nel 2002 si parlava di qualcosa come 15,5:1, mentre ora si è scesi a un più umano 14,5, e forse qualcosa meno. Sono invece saliti i regimi: il picco di potenza è ora a 14.200 giri e il limitatore è tarato a 15.300, 1000 giri in più di due anni fa. Il che ha ridotto drasticamente gli intervalli di revisione della meccanica: da 1000 a 500 km per valvole, pistoni, bielle, mentre l’albero motore dura 2000 km.



E la potenza? Quanto è cresciuta rispetto agli "oltre 210 CV a 14.000 giri" dichiarati due anni fa? "La potenza -ammette Kamomiya- non è aumentata molto, diciamo 10 CV, e sappiamo che se vogliamo migliorare la risposta della moto ai comandi dell’acceleratore dobbiamo salire ancora. Abbiamo migliorato quasi tutto: solo la velocità massima rimane un problema".

Se la prima versione della moto, nel 2002, aveva un telaio derivato molto direttamente dall’esperienza con i 2T, quello nato nel 2003 è diverso: si tratta sempre di un doppio trave perimetrale in alluminio con forcellone dotato di massicce capriate di rinforzo, ma differente nel colore (ora è verniciato in nero) e soprattutto nelle quote, dato che l’interasse è aumentato di 25 mm per raggiungere i 1440 e rendere così più stabile la moto fuori dalle curve e in staccata.
La forcella anteriore è una Ohlins con steli da 42 mm, ovviamente completamente regolabile, accoppiata a un monoammortizzatore posteriore pure completamente regolabile, vincolato al forcellone attraverso un leveraggio dotato di un eccentrico sul perno dei leveraggi stessi: ciò permette di ri-adeguare la curva di compressione dell’ammortizzatore a ogni variazione del retrotreno, come il tiro di catena o l’altezza del perno del forcellone.



Le ruote sono delle leggerissime e resistenti JB Power-Magtan in magnesio realizzate in Giappone per forgiatura, il che permette di ridurre le masse non sospese senza sacrificare la resistenza meccanica. I freni anteriori sono invece italiani: la Brembo fornisce sia i dischi in carbonio (da 320 o 305 mm a seconda delle piste) sia le pinze radiali a quattro pistoni e quattro pastiglie, ricavate dal pieno.



Devo ammettere che quando ho scavalcato con una gamba il codino della GSV-R appena accesa dai meccanici sulla pit-lane di Sepang ho provato molta curiosità: due anni fa ho provato una moto con cui c’era da battagliare a ogni curva per impedirle di prendere il volo, con una coppia in basso addirittura brutale e una sensibile mancanza di potenza in alto e di allungo. Beh, che differenza possono fare due anni! Il motore 2004 ha una gestibilità esemplare, ed è probabilmente il motore più bello da usare delle sei case concorrenti del MotoGP. Certo, potrebbe anche essere dovuto al gap di 20 CV che ha rispetto a Honda e Ducati (e ai 10 CV di differenza con Yamaha), ma se i tecnici della Suzuki riescono a evolvere il motore senza cambiarne la natura, questa diventerà una moto di quelle giuste.



La potenza comincia ad arrivare dopo i 9000, e da lì parte una progressione lineare e irresistibile, appena segnata da un modesto gradino a 10.500. Spinge, spinge sempre, sembra finto tanto appare privo di ruvidità, nella naturalezza con cui raggiunge i 220 CV e allunga ancora fino all’accensione della spia rossa a 14.500, e poi ancora, se si vuole. Ma in realtà basta sfiorare il cambio per ritrovarsi anche con la marcia superiore nello stesso film, e poi ancora e ancora, con una sensazione di padronanza della situazione che fa a pugni con il ricordo dell’aspra lotta che bisognava ingaggiare con la prima versione. Adesso, grazie anche alla gestibilità di un telaio molto più stabile (e la differenza si sente anche nelle staccate più violente), la GSV-R esce forte dalle curve, grazie anche al cambio con le prime quattro marce molto ravvicinate.



Ma questo mette solo una pezza al vero problema dei tecnici Suzuki: con le superbike a quattro cilindri (GSX-R in testa!) a 200 CV veri, in termini di accelerazione e velocità massima questo prototipo da GP non fa una grande figura. Viene in mente allora Loris Reggiani sull’Aprilia 400 bicilindrica, quando imparò presto che la velocità in curva ti fa fare la pole, ma quando sei in gara se manca motore stai dietro, e tutt’al più ti tocca chiudere il gas in piega per non tamponare, ma quando ci si raddrizza chi ha più cavalli accelera più forte. Un peccato, perché dal cambio alla ciclistica, dalle gomme Bridgestone alla frizione antisaltellamento (si può scalare normalmente senza frizione!) tutto appare decisamente a punto. E quando i ragazzi della Suzuki troveranno i cavalli che mancano, completeranno un bel quadretto che può puntare alla vittoria…

Motore: a quattro cilindri a V longitudinale di 65°, distribuzione bialbero a 4 valvole per cilindro con comando a ingranaggi, raffreddamento a liquido, albero di equilibratura. Alesaggio e corsa: n.d., cilindrata 990 cc. Rapporto di compressione circa 14:1. Potenza 220 CV a 14.000 giri/min, coppia n.d. Alimentazione a iniezione elettronica Mitsubishi, due iniettori per cilindro, diametro corpi farfallati n.d. Scarico in titanio.

Trasmissione: cambio a 6 marce, primaria ingranaggi a denti dritti; secondaria catena; frizione multidisco a secco con comando idraulico e dispositivo antisaltellamento.

Ciclistica: a doppio trave perimetrale in alluminio, sospensione anteriore: forcella Ohlins a steli rovesciati da 42 mm, escursione ruota n.d., sospensione posteriore progressiva con monoammortizzatore Ohlins regolabile, forcellone doppio braccio in alluminio forgiato, escursione ruota n.d. Cerchi JB Power-Magtan in magnesio forgiato da 16,5", canale anteriore da 3,5", posteriore da 6,25", pneumatici 125/60 e 190/65. Freni: anteriore Brembo con 2 dischi autoventilanti da 320 o 305 mm, pinze radiali a 4 pistoncini e 4 pastiglie. Posteriore: disco Suzuki da 220 mm, pinza Brembo a 2 pistoncini.

Dimensioni: interasse 1440 mm, inclinazione cannotto 24°, avancorsa variabile. Peso senza carburante 150 kg, distribuzione statica 52/48%.

Suzuki GSV-R 2004 MotoGP
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