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Honda VT600 Shadow

il 01/08/2002 in Moto & Scooter

Talmente nota che nessuno si prende la briga di provarla. Una leggenda rimasta uguale a se stessa, e, a differenza di un decennio fa, non è più considerata un’alternativa povera alle Harley



Dieci anni fa era di gran lunga la moto più venduta d’Italia, come oggi la Hornet, cui è affine per cilindrata, fascia di mercato e marchio sul serbatoio.
La casa di Tokyo ne ha prodotte parecchie, di queste highlander a due ruote: VFR, Africa Twin, Transalp e CBR, solo per citare le più celebri. Ma, mentre tutte queste sono cambiate per cilindrata e molte caratteristiche tecniche, la Shadow è rimasta fedele al progetto originale, anche se la Honda le ha affiancato, nella sua ricca gamma, molte new entry più aggiornate stilisticamente e adatte ad assecondare i vari trend del momento. Meno male, ci permettiamo di aggiungere: col continuo aumento delle cubature, la VT 600 C resta una delle poche cruiser adatte anche ai neopatentati senza per questo risultare una scelta povera.

Ci mancherebbe: con oltre 7.100 euro di prezzo di listino non è propriamente regalata; d’altra parte, viste le quote richieste per i nuovi scooteroni bicilindrici, con una cifra analoga ci si può aggiudicare una moto vera, fregiandosi anche di un nome che segna uno dei maggiori successi sotto il segno dell’ala bianca Honda.






Un successo meritato, visto che gli ingredienti ci sono tutti, naturalmente l’affidabilità meccanica e discrete prestazioni, ma soprattutto uno styling che a suo tempo è stato parecchio innovativo, più equilibrato ed europeo di quello della squadrata VT 500 C e della Nighthawk che l’avevano preceduta.



La Shadow è sul mercato dal 1988. Ciò significa che le piccole pecche originarie sono state in gran parte corrette nel corso degli anni, e testimonia che l’idea originale era davvero valida. Ciò detto, chi pensa di acquistare questa custom Honda deve sapere in cosa s’imbatte. Come è facile intuire, la posizione di guida è all’insegna del relax, col busto arretrato e braccia e gambe avanzate. La sella, larga e ben imbottita, completa un quadro decisamente favorevole al diporto rilassato. Questo vale finchè i tragitti che ci accingiamo a percorrere sono le strade urbane o le comode extraurbane, dove la Shadow può far valere anche una buona maneggevolezza dovuta al peso contenuto (199 kg) e al baricentro basso.



Se invece si compra la media Honda per fare del turismo più impegnativo, ecco che emergono le mancanze (peraltro quasi inevitabili per la tipologia di moto): innanzitutto non solo non c’è alcuna protezione aerodinamica, ma la posizione di guida, molto “aperta”, fa sì che il pilota, già a 110 all’ora, debba affrontare un vero e proprio muro d’aria. Non va meglio all’eventuale passeggero, che, seppur parzialmente protetto aerodinamicamente dal corpo del guidatore, si trovi a dover fare i conti con una porzione di sella inadeguata e con una posizione, alla lunga, molto faticosa. Tuttavia un parabrezza in prua e uno schienalino in poppa possono rendere sensibilmente più rosea la crociera. Tali accessori nulla possono, invece, contro la durezza del monoammortizzatore posteriore: se volete bene alla vostra fidanzata, cercate di evitare le buche.

Non è un puntiglio il nostro, ma dobbiamo lamentare ancora una volta la mancanza dell’indicatore del livello carburante: come è successo a noi, in autostrada la moto può dare forfait perchè il rubinetto attende di essere girato sul fatidico res (meno male che non eravamo in fase di sorpasso...).



Può sembrare folle, ma non lo è: la Shadow, così come molte cruiser giapponesi dal prezzo contenuto, in quanto a contenuti tecnici ha argomenti ben più solidi delle assai più costose custom americane. Innanzitutto il motore, il collaudatissimo bicilindrico a V di 52° raffreddato a liquido, se non gli si tira il collo non vibra e garantisce consumi scooteristici, grazie anche al moderno sistema di alimentazione a carburatore unico, completamente rinnovato rispetto al passato. La distribuzione monoalbero è a sei valvole, come ad esempio quella della Transalp, ed è un’esempio di efficienza che ha pochi paragoni.

Affidabilità e continuità di rendimento sono infatti da sempre uno degli assi nella manica della VT600, così come la ridotta necessità di manutenzione. Siamo al cospetto del classico motore “che va sempre”, anche se gli si mette il gasolio nel serbatoio (per carità, non fatelo!). A proposito, nonostante i modesti consumi l’autonomia è limitata a circa 150-160 chilometri, tenendo medie autostradali secondo codice: causa proprio la scarsa capienza del serbatoio (11 litri compresi 3,4 di riserva).

Tradizionale la ciclistica, infulcrata su un telaio a doppia culla in acciaio e su sospensioni che calzano a pennello col tipo di moto: forcella telescopica con steli da 39 mm all’anteriore e forcellone con monoammortizzatore telescopico al posteriore. L’impianto frenante poggia su un solido disco da 296 mm, fermato da una pinza a doppio pistoncino, e un tamburo posteriore da 160, che tutto sommato non sfigura. Una scelta più attenta al look chopperistico che all’effettiva necessità sembra quella del pneumatico posteriore di grandi dimensioni, precisamente 170/80 su un cerchio da 15”.



Stare in sella alla Shadow ci è piaciuto parecchio, soprattutto quando si è trattato di andarci a spasso con tranquillità (che è poi il compito principale di questa moto). In un periodo in cui molti passano con disinvoltura dal Ciao al Ninja (con conseguenze purtroppo a volte infelici), perchè la moda vuole che ci si sieda tutti su cavallerie ben nutrite, sulla carta i dati della VT600 paiono modesti al punto da far sorridere: 28 kW sono infatti alla portata ormai di parecchi scooter, senza prendere in considerazione gli iper bicilindrici di ultima generazione.



Eppure, possiamo garantirlo, il motore della Shadow offre una spinta discreta fin dai bassi, grazie alla coppia massima di 48 Nm disponibile fin dai 3.500 giri. Lo scatto non manca, e nemmeno una buona capacità di ripresa. Quello che non è lecito chiedere alla VT600 è invece di far salire la lancetta del tachimetro molto oltre i 160: non è proprio il suo mestiere, senza contare il fatto che le vibrazioni diventano molto fastidiose e che per restare attaccati al manubrio occorrono braccia nerborute (non è il caso del nostro tester).



Buona la stabilità sul dritto (ci mancherebbe, con sospensioni così rigide e con gomme tanto dimensionate...) e in curva, dove, però, bisogna impostare una traiettoria con la viva speranza di non doverla modificare in una manovra d’emergenza, visto che correggersi è faticoso e non immediato. In appoggio il retrotreno è sempre saldo erassicurante, mentre la forcella anteriore dà spesso l’impressione di entrare in crisi, dissuadendo chi covava il malsano proposito di una folle sgroppata alla Joe Bar. Positiva l’impressione sulla frenata: il disco anteriore è solido ed efficacie, il tamburo posteriore fà il suo dovere, ma nelle pinzate brusche blocca facilmente la ruota.



Motore: due cilindri a V di 52° raffreddato a liquido, 4 tempi, sei valvole, monoalbero (SOHC), alesaggio per corsa 75x66mm, cilindrata 583cc, rapporto di compressione 9,2:1, alimentazione a carburatore da 34 mm. Accensione elettronica, avviamento elettrico.
Trasmissione: cambio a cinque rapporti, catena sigillata con O-Ring.
Ciclistica: tealio a doppia culla in tubi d'acciaio, sospensione anteriore: forcella telescopica con steli da 39 mm, escursione 120 mm,  posteriore forcellone con monoammortizzatore telescopico, escursione 90 mm. Freni: anteriore disco idraulico da 296 mm con pinza a doppio pistoncino, posteriore tamburo da 160 mm. Pneumatici: anteriore 100/90 x 19", posteriore 170/80 x 15".
Dimensioni: lunghezza 2.355, interasse 1.600 mm, altezza sella 690 mm. Peso a secco: 199 kg.
Capacità serbatoio: 11 l.
Euro1: sì.

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