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Yamaha YZF R1 2002

il 19/02/2002 in Moto & Scooter

Ecco la prova della moto più attesa dell’anno: la nuova R1, che per tornare in vetta al podio delle supersportive ha dato fondo a tutte le sue risorse. Erano ancora tante? Sì, dice Cathcart, che per Motonline l’ha guidata in pista e su strada

Yamaha YZF R1 2002


di Alan Cathcart, foto Gold & Goose




Nelle altre pagine

Diversa ma inconfondibile: più aerodinamica, più raffinata e più comoda, ma senza rinunciare alla sua personalità unica
Tecnica - il motore: alimentazione ad iniezione elettronica con doppie farfalle.
Scarico in titanio e nuovo air-box
Tecnica - la ciclistica: baricentro alzato, avancorsa aumentata, forcellone modificato. Struttura più rigida. Migliorati i freni e la forcella
In pista e su strada: esce dalle curve con progressione inarrestabile, ma non violenta. Maneggevolezza da record, frenata pure



Doveva succedere. Come tutti si aspettavano, la Yamaha ha risposto all’attacco della Suzuki, che con la GSX-R 1000 aveva tolto alla sua R1 lo scettro del regno delle supersportive stradali.




A Milano la Yamaha aveva infatti presentato la R1 in versione profondamente rinnovata e dotata di iniezione elettronica. Da allora, grande è stata l’attesa di scoprire che cosa il nuovo project leader, Yoshikazu Koike e il suo team, ancora sotto la supervisione del progettista Kunihiko Miwa, avessero inventato per riportare la R1 in testa al più prestigioso segmento di mercato della motocicletta.
MOTO




Bene, adesso, dopo 50 giri sul circuito spagnolo del GP di Catalunya, presso Barcellona, e più di 300 km di guida sulla costa del Mediterraneo, fino ai piedi dei Pirenei, finalmente lo abbiamo scoperto.
Allora? Piuttosto che cercare di superare la GSX-R 1000 sul piano della potenza pura, Koike e i suoi collaboratori hanno preferito lavorare di fino su tutta la moto, focalizzando lo sviluppo sulla facilità di guida, su una maggior sofisticazione tecnica e sull’incremento della maneggevolezza. Di quella maneggevolezza che nel 1998, quando la R1 era apparsa per la prima volta, aveva stabilito un nuovo punto di riferimento per la sua categoria, combinando le prestazioni di un potente motore di un litro di cilindrata con la ciclistica e l’agilità di una 600 supersport.






La carenatura, studiata nella galleria del vento, è stata ridisegnata e allargata di 20 mm nella parte frontale, ma rimane assolutamente inconfondibile. La protezione aerodinamica risulta incrementata, ma la maggior larghezza non incide negativamente sulle caratteristiche estetiche e di guida della moto, che sembra ancora piccola e compatta per una ipersportiva di grossa cilindrata e che vanta una maneggevolezza pari a quella della sorella minore R6.





La posizione di guida, che accentua la sensazione di inserimento totale nella moto già offerta dalla precedente R1, è stata modificata arretrando ed abbassando l’attacco dei semimanubri e riposizionando le pedane del pilota, anch’esse arretrate.
Un notevole miglioramento è stato ottenuto ridisegnando il serbatoio da 17 litri, che, diversamente e sapientemente sagomato, ha perso un litro di capacità, ma ora accoglie le gambe e le ginocchia in modo ben più ospitale ed efficace di prima.
Sotto il cupolino fa bella mostra di sé un cruscotto con tachimetro digitale dal look estremamente tecnico ed aggressivo, che mira a richiamare alla mente del pilota la strumentazione di una Yamaha GP o SBK.




Alcuni potenziali clienti della R1-2002 si sono lamentati perché la Yamaha, realizzando questo nuovo modello, ha chiaramente seguito la strada sempre percorsa dalla Honda con le sue supersportive, facendo cioè concessioni alla comodità a scapito dell’impostazione marcatamente sportiva della moto. Con questo orientamento, però, la Yamaha ha ottenuto quello che si può ritenere il miglior compromesso in assoluto, e solo una prova comparativa con le rivali Honda e Suzuki potrà chiarire se queste concessioni abbiano sminuito la capacità della R1 di imporsi nelle prove di forza.






Sotto il vestito la nuova R1 mostra una base meccanica completamente rivista nei dettagli. Il motore in particolare mantiene tutte le principali caratteristiche dell’unità precedente: si tratta di un quadricilindrico con distribuzione a cinque valvole e blocco cilindri in uno con i semicarter superiore per aumentare la rigidità dell’insieme. Misure di alesaggio e corsa e rapporto di compressione sono rimasti invariati, con modifiche secondarie ai segmenti di tenuta, alle bielle (più rigide) e al riporto superficiale dei cilindri, ora più conduttivo e resistente all’usura.




Ma la modifica principale è costituita dall’adozione dell’iniezione elettronica, dotata di uno schema che prevede due valvole per controllare il flusso d’aria: quella a valle è una classica valvola a farfalla comandata manualmente, mentre la seconda è una valvola cilindrica comandata dalla depressione del condotto d’aspirazione, in modo del tutto analogo ai comuni carburatori a depressione.




Questa scelta serve a garantire, oltre al rispetto delle sempre più rigide normative antiinquinamento, il difficile compromesso tra la potenza elevata (che necessita di ampie sezioni di passaggio) e l’erogazione di coppia ai bassi e medi regimi, che invece beneficia della parzializzazione del condotto. Quindi, quando la farfalla si apre, il passaggio viene ancora “ostruito” dalla seconda valvola, che si apre in base alla “richiesta” d’aria del motore. Concorre alla costanza di prestazioni la nuova conformazione dell’air-box, che permette al motore di respirare aria con una temperatura media ridotta di 5°C. L’impianto di scarico è ora realizzato completamente in titanio per un risparmio di peso di un chilogrammo.






Benché la sostanza di base sia la stessa, anche lo chassis ha subito cambiamenti significativi: il motore è stato posto più in alto di 20 mm per alzare il baricentro e migliorare l’agilità nei cambi di direzione, e per offrire una luce a terra più ampia. Il motore, tra l’atro è ora vincolato al telaio da un punto in più d’attacco, e quindi risulta essere un elemento stressato della struttura, con grande aumento della rigidità dell’insieme.





Per bilanciare in un certo senso l’aumento di agilità, l’avantreno è stato reso più direzionale con la riduzione dell’escursione (da 135 a 120 mm) e del disassamento delle piastre (con conseguente aumento di avancorsa da 92 a 103 mm), fermo restando l’inclinazione di 24° dell’asse di sterzo. Per garantire un migliore comportamento dell’avantreno la forcella è stata inoltre irrigidita con l’aumento del diametro degli steli da 41 a 43 mm, ma il peso è stato mantenuto identico utilizzando spessori di parete più ridotti.




Il forcellone ha mantenuto la sua notevole lunghezza (582 mm) utilizzata per ridurre le reazioni al carico motore in accelerazione, ma ora ha il fulcro spostato in alto di 17,5 mm per migliorare maneggevolezza e trazione. Inoltre il braccio destro è conformato “a banana” per ridurre la sporgenza dello scarico in una zona critica per la luce a terra. I freni anteriori hanno lo stesso diametro di prima, ma le pinze sono state migliorate e alleggerite; il freno posteriore, invece, ha visto ridurre il suo diametro da 245 a 220 mm.






Anche se la potenza della R1-2002, 152 CV a 10.500 giri, è solo di pochissimo superiore a quella della versione precedente a carburatori, e ancora distante da quella della Suzuki GSX-R 1000, l’erogazione è così lineare, e la guida tanto intuitiva, che il pilota si sente subito in sella ad una moto in grado di battersi ad armi pari con qualsiasi altra ipersportiva.
Lo si intuisce appena ci si rende conto della velocità con cui affronta le curve che menano al rettilineo dei box del circuito di Catalunya, e dell’esuberanza con cui accelera in terza marcia all’uscita della curva a sinistra che lancia su una lunga salita dietro il paddock; una curva che con la maggior parte delle altre sportive stradali si è costretti a percorrere in seconda.





Appena superati i 5.500 giri si scopre quale sia la vera natura di questa moto solo apparentemente docile: spalancando il gas in uscita di curva si ha la percezione della “controllata aggressività” che contraddistingue la nuova R1, e che stupisce piacevolmente chi si aspetterebbe di essere sparato a razzo sul rettilineo successivo.
Così in effetti si comportava la vecchia R1, e francamente pensavo che avrei trovato la nuova peggiorata con l’arrivo dell’iniezione, ricordando le emozioni provate guidando la prima Yamaha non a carburatori, la R7 SBK.
Ebbene, mi preoccupavo per niente, perché la nuova R1 ad iniezione consente di aprire il gas più presto, con maggiore decisione e in piena sicurezza rispetto alla vecchia.




Su strada si ha a disposizione una moto veloce come tutte le R1 già in circolazione, ma capace di maggior comfort, così da consentire lunghe percorrenze a ritmo sportivo, essendo meno affaticante. Il motore si spinge fino a 11.800 giri, soglia di intervento del limitatore, con un buon allungo oltre il regime di potenza massima, che si può sfruttare egregiamente in curva mantenendo il rapporto inserito dall’ingresso all’uscita.
Quanto ai freni, il doppio disco Tokico di 298 mm, con pinze monoblocco dell’ultima generazione e pistoni in alluminio, è talmente potente e ben modulabile, che mi potevo permettere, al termine del rettifilo dei box del Catalunya, di staccare a 200 metri col tachimetro digitale che indicava 270 km/h. Impressionante e rassicurante!


Motore: a 4 tempi, 4 cilindri in linea frontemarcia, raffreddamento a liquido, alesaggio e corsa 74 x 58 mm, cilindrata 998 cc, rapporto di compressione 11,8:1, distribuzione bialbero in testa a 5 valvole per cilindro con comando a catena, lubrificazione a carter umido. Alimentazione a iniezione elettronica Mikuni; capacità serbatoio 17 litri. Accensione elettronica integrata con l’iniezione.

Trasmissione: primaria a ingranaggi; frizione multidisco in bagno d’olio, comando a cavo; cambio in cascata a sei marce; finale a catena.

Ciclistica: telaio a doppio trave in alluminio Deltabox III, inclinazione cannotto sterzo 24°, avancorsa 103 mm. Sospensione anteriore: forcella upside-down, steli da 41 mm, escursione 120 mm; sospensione posteriore: forcellone in alluminio con monoammortizzatore, escursione 130 mm. Ruote: anteriore tubeless in lega leggera, pneumatico 120/70-17”, posteriore tubeless in lega leggera, pneumatico 190/50-17”. Freni: anteriore a doppio disco flottante di Ø 298 mm, pinze a 4 pistoncini contrapposti, posteriore a disco fisso di Ø 220 mm, pinza a 2 pistoncini contrapposti.

Dimensioni (in mm) e peso: interasse 1395 mm, lunghezza 2035 mm, larghezza 705 mm, altezza sella 820 mm. Peso a secco 171 kg.

Prestazioni dichiarate: potenza 152 CV (111,8 kW) a 10.500 giri, coppia 10,7 kgm (105 Nm) a 8500 giri.

Omologazione Euro-1:
Yamaha YZF R1 2002
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